Il frutto dell’unità
Le proposte e le iniziative promosse da Chiara Lubich per un percorso che assicuri il raggiungimento di questa suprema aspirazione dell'umanità.
È naturale che un carisma teso a costruire l’unità nella Chiesa, tra le Chiese, le religioni, le nazioni, le generazioni, i gruppi sociali, veda la pace come frutto dell’unità. «Dovunque arriva l’unità e l’amore reciproco – affermava Chiara Lubich in una intervista –, arriva la pace, anzi, la pace vera. Perché dove c’è l’amore reciproco, c’è una certa presenza di Gesù in mezzo a noi, e lui è proprio la pace, la pace per eccellenza».
L’ha ripetuto con forza davanti a migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo in occasione del Genfest del 1985: il mondo tende alla pace perché tende all’unità. Pace e unità «corrono parallele, sono due facce di uno stesso avvenimento. Dove è l’unità, lì regna la pace».
La costruzione della pace seguirà dunque le medesime tappe della costruzione dell’unità. I passi da compiere, pur non essendo elaborati in maniera sistematica, sono facilmente deducibili dalle conversazioni di Chiara. Nella sua proposta dell’“arte di amare”, del 1997, ad esempio, possiamo già trovare una metodologia facilmente adattabile al cammino di pace, sei punti concreti, coraggiosi, impegnativi, profondamente ancorati al Vangelo: amare tutti, amare per primi, amare come sé, “farsi uno”, amare Gesù in ognuno, amare in modo tale da suscitare l’amore nell’altro e diventi così reciproco.
In più occasioni ha offerto indicazioni concrete che, raccolte e ordinate, potrebbero offrire una mappa esaustiva per un percorso di pace. Potremmo cominciare richiamando alcuni atteggiamenti fondamentali, primari: ambire all’ultimo posto, dare prova di tolleranza e di sopportazione nella vita comune, sempre esposta agli attriti, perdonare, vincere col bene il male, riparare in se stessi quanto è stato compromesso dai fratelli. Altri atteggiamenti facilmente desumibili dai suoi scritti sono l’intraprendenza, fino alla “provocazione”, così da giungere alla reciprocità dell’impegno, la fiducia nell’altro, l’amore verso tutti.
Intraprendenza. La pace inizia sempre ad opera di qualcuno che fa il primo passo. A riprova Chiara riferisce la proposta evangelica che addirittura si rivolge a chi riceve il torto: «Se tuo fratello ha qualche cosa contro di te, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello» (Mt 5,23s.). Sta proprio a chi ha subìto il torto prendere l’iniziativa della riconciliazione. Gesù infatti «in caso di tensione, di disaccordo, di disunità», chiede «di rimediare al male prodotto, non solo al colpevole, ma anche all’altro che aveva subito il danno». Questa parola evangelica risulta dunque «utilissima all’unità, che è garanzia della pace, della vera pace dei cuori».
Provocazione. Dopo la visione del film Gandhi, Chiara condivide alcune riflessioni partendo dalla constatazione che il Mahatma, per dar l’indipendenza alla sua patria, aveva agito non soltanto vivendo e diffondendo la non violenza, ma anche “provocando”. La provocazione è un’idea e una pratica non lontana «dalla lotta che il cristiano deve condurre per cambiare sé stesso e il mondo che lo circonda. Infatti il cristiano deve agire, anzi deve sempre reagire contro tutto ciò che non è conforme al pensiero di Dio e alle sue esigenze sull’uomo». Tipiche le “beatitudini” proclamate da Gesù, «pungoli per un’autentica rivoluzione… Dunque che si reagisca a tutto ciò che non è pace nel mondo».
Reciprocità. Nel discorso pronunciato alle Nazioni Unite il 28 maggio 1997, Chiara invitava a superare la categoria del nemico e a riscoprire il senso della reciprocità «che richiede di superare antiche e nuove logiche di schieramento, stabilendo invece relazioni con tutti come il vero amore esige; che domanda di operare per primo, senza condizioni e attese; che porta a vedere l’altro come un altro sé stesso e quindi a pensare in questa linea ogni tipo di iniziativa: disarmo, sviluppo, cooperazione». Non basta escludere la guerra, aggiungeva, «vanno create le condizioni perché ogni popolo senta di poter amare la patria altrui come la propria, in un reciproco e disinteressato scambio di doni».
Fiducia. Nel messaggio inviato alla quinta assemblea della Conferenza mondiale delle religioni per la pace, Chiara indicava nella “fiducia” un ulteriore atteggiamento indispensabile alla costruzione della pace. Fiducia che vuol dire lavorare a conoscersi per scoprire il positivo che c’è in ciascuno, ascoltarci e comprenderci, «guardarci con amore, coprendo con la misericordia gli eventuali errori del passato, e accettarci gli uni gli altri per costruire una base comune di rispetto, di stima e di fiducia reciproca».
Amore. In quella stessa circostanza, Chiara affermava che all’approssimarsi del terzo, l’amore avrebbe dovuto diventare “costume”. «L’amore è la forza più potente, feconda, sicura che può legare ogni società». Di qui l’impegno a diffondere l’amore e ad insegnare ad amare, non solo fra singoli, ma anche fra popoli. «È necessario che l’amore reciproco diventi legge per ogni comunità, civile o religiosa che sia».
Assieme alla formazione degli atteggiamenti Chiara ha avviato e assecondato iniziative particolari volte a favorire la costruzione della pace. Tra esse basta ricordare l’Economia di Comunione, il Movimento politico per l’unità, la sua partecipazione attiva alla Conferenza mondiale delle religioni per la pace. Quello a cui Chiara ha dato vita è un movimento cristiano di spiritualità, ma proprio perché si tratta di autentica “spiritualità”, esso ha risvolti concreti nel campo sociale, economico, politico. Non c’è pace senza giustizia sociale, senza un impegno economico e politico. Ambedue i movimenti – quello economico e politico – sono fortemente animati dall’idea di fraternità universale alla cui elaborazione dottrinale e alle ricadute sociali e politiche Chiara ha dedicato con particolare intensità i suoi ultimi anni di lavoro.
Alla fratellanza universale ha fatto costante riferimento nel suo lavoro per il dialogo interreligioso, sia promuovendo numerosi incontri di studio e di comunione con rappresentanti delle diverse religioni, sia nell’animazione in quanto presidente onoraria della Conferenza mondiale per le religioni. Parlando della collaborazione fra le religioni contro il terrore e la violenza al Simposio della Wcrp, il 23 ottobre 2001, Chiara proponeva un manifesto della fraternità mostrandone lo stretto legame con la pace: «L’amore fraterno è scritto nel Dna di ogni essere umano».
Esigente impegno della società, delle nazioni, delle religioni, delle singole persone, la pace rimane tuttavia un dono di Dio che va chiesto con fiducia e perseveranza nella preghiera. «È come un grande albero che ha le sue radici in cielo e la chioma sulla terra. Senza la preghiera è come senza radici e senza il lavoro dell’uomo è come senza rami e senza frutti» (Pechino, 1986). La pace e la concordia mondiale iniziano con la pace del cuore.
Continuando ad avere presente l’esperienza vissuta durante la Seconda guerra mondiale, Chiara lancia il suo messaggio di speranza: «Dalle guerre, anche le più terribili, sono spesso nati soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili».
Da queste pagine della nostra rivista, nell’ultimo numero del 2004, lanciava un grido che vorremmo continuasse a riecheggiare nel mondo intero: «È finito il tempo delle “guerre sante”. La guerra non è mai santa, e non lo è mai stata. Dio non la vuole. Solo la pace è veramente santa, perché Dio stesso è la pace».