Il frate e la magnolia

Padova, basilica del Santo. All’ombra di un albero monumentale, la storia un martire della carità
Chiostro della Magnolia

Sono tanti e tali i tesori di storia, arte e spiritualità della Basilica del Santo a Padova che occorrerebbero ripetute visite per riuscire a conoscerli e ad ammirarli, se non tutti, almeno in parte. Non mi ci azzardo nemmeno nel breve spazio di un “itinerario”. La mia attenzione è invece rivolta a un gioiello della natura che adorna uno dei quattro meravigliosi chiostri di questo complesso: quello detto “del Capitolo” o “della Magnolia” dal superbo esemplare di questa pianta perenne che troneggia al centro di esso con la sua chioma conico-piramidale d’un verde intenso punteggiato – nei mesi da maggio a luglio – da delicati fiori bianchi dall’inebriante profumo.

 

Questo “monumento” arboreo conta oltre due secoli d’età, essendo stato piantato nel 1810. Contemporaneo di altri due esemplari di magnolia grandiflora del vicino Orto botanico, messi a dimora agli inizi dell’Ottocento, è comunque più giovane, nello stesso Orto, di un terzo che risale al 1786 ed è ritenuto uno dei primi alberi del genere introdotti in Italia, se non addirittura il primo.

 

Oggetto di ammirazione da parte dei visitatori che escono dalla porta sud della basilica, o arrivano dal chiostro del Noviziato, la maestosa magnolia non è l’unico motivo d’interesse di questo elegante chiostro quattrocentesco, ricco di tombe e di epigrafi. Nel lato sud, vicino all’entrata del negozio di ricordi, oggetti religiosi e libri, spicca un busto di bronzo con una scritta: «Padre Placido Cortese/(1907-1944)/ frate minore conventuale/ martire della carità./ Qui fu tradito da finti amici/ e consegnato alla barbarie nazista».

 

Chi voglia saperne di più del personaggio, se non acquista una sua biografia nel vicino punto vendita, trova sempre qualche frate della basilica disposto a parlarne. La stessa magnolia, se avesse coscienza e dono di parola, potrebbe dirne qualcosa, così tante volte la storia di questo religioso, ora servo di Dio, morto ad appena trentasette anni, è risuonata nel chiostro.

 

Nasce nell’isola di Cherso (ora Croazia) e viene chiamato Nicolò: nome che muta in Placido quando, nell’ottobre del 1923, veste l’abito di novizio presso la Basilica del Santo. L’anno seguente, nel giorno della professione religiosa, la sua testimonianza ha il sapore di una profezia: «La religione è un peso che non ci si stanca mai di portare, ma che sempre più innamora l’anima verso maggiori sacrifici, fino a dare la vita per la difesa della fede e della religione cristiana, fino a morire tra i tormenti come i martiri del cristianesimo in terre lontane e straniere». Ciò si realizzerà puntualmente, non all’estero bensì a Padova stessa.

 

Studia teologia a Roma, dove è attratto dalle catacombe e dalle memorie dei martiri, e dopo l’ordinazione sacerdotale (giugno 1930) svolge il suo apostolato prima nella Basilica del Santo, poi in una parrocchia di Milano, infine nuovamente a Padova, chiamato a dirigere Il Messaggero di S. Antonio. Ci sa fare, dal momento che riesce a portare da 200 mila a 800 mila gli abbonati di questo periodico così prezioso in tempi di acceso anticlericalismo. Ma il meglio di sé lo dà nell’esercizio della carità verso i poveri e i profughi sloveni internati nel campo di concentramento di Chiesanuova (l’attuale caserma Romagnoli, a Padova). Utilizzando poi le foto degli ex voto lasciati dai devoti presso l’arca di sant’Antonio, confeziona documenti falsi: ingegnoso stratagemma col quale salva centinaia di ebrei e dissidenti dalla deportazione, favorendo la loro fuga in Svizzera.

 

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’occupazione dell’Italia centro-settentrionale da parte dei tedeschi, la situazione si fa drammatica. Con un supplemento di amore e di coraggio, padre “Zoppino” (così anche è chiamato, perché claudicante, questo frate «mite, dolce, semplice, sensibilissimo ai bisogni degli altri») intensifica l’opera di soccorso verso ebrei, profughi, derelitti di Padova e dintorni. «Non si può esser spettatori in una guerra», è solito dire.

 

Gesù viene tradito di notte da Giuda nell’Orto degli Ulivi, padre Placido poco dopo le 13 nel chiostro della Magnolia: con una scusa, infatti, viene fatto uscire da quella basilica che gode di una certa extraterritorialità da uno che considerava amico e da un agente in borghese delle SS. È l’8 ottobre 1944. La sua passione e la morte si consumano nella prima metà di novembre a Trieste nel bunker di piazza Oberdan, sede della Gestapo. Nonostante i lunghi interrogatori accompagnati da atroci torture, non rivelerà mai i nomi dei suoi collaboratori e protetti. Con ogni probabilità il suo corpo sparisce nel forno crematorio della Risiera di San Sabba, sempre a Trieste. Gracile di corpo ma di ferma volontà, sempre intento alla preghiera e a incoraggiare i compagni di sventura: così lo ricordano alcuni testimoni.

 

Questa la storia di padre Placido Cortese, che si può venire a sapere all’ombra cupa della grande magnolia.

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