Il Francesco di Liliana Cavani

Nonostante la formula da fiction, emerge  il messaggio della radicale alternativa del “fraticello d’Assisi” dentro le vicende complesse della storia. Immagini di una gioventù libera, mite e, allo stesso tempo, forte
Francesco

A diversi non è piaciuto. Sul Corriere della Sera, ad esempio, Aldo Grasso scrive che è un’opera “che viaggia fra l’esoterico e lo stranito”.

La terza volta della Cavani con Francesco in verità è diversa dalle altre precedenti, anche se ne contiene alcuni elementi fondamentali del pensiero della regista: il desiderio della libertà, l’antistrutturalismo, il controcorrente rispetto alla “società”, l’urgenza al sociale, la fraternità.  Elementi decisivi nel primo Francesco del 1966 in bianco e nero con Lou Castel,  un po’”pasoliniano”e molto affascinante , sia nel secondo, quello del 1989 con la  star Mickey Rourke- un Francesco molto fisico – cui aggiunge l’episodio  drammatico delle Stimmate.

Oggi, la Cavani delinea, usando i l consueto sistema del flashback, la storia di Francesco e insieme la “controstoria” di frate Elia- amico-nemico del santo – che in colloquio con Chiara rievoca la vicenda del santo in un modo che si contrappone lo slancio libero e liberante del Fondatore a quello realistico e in un certo senso “machiavellico” del successore. Insomma, Dio e il “mondo”, carisma e istituzione.

Le due puntate scorrono come un polittico per brevi episodi sintetici- è il sistema della fiction televisiva per non “stancare” il pubblico – che raccontano di Francesco dalla giovinezza alla morte. Il santo ha il volto mite ma capace di fermezza del polacco Mateusz Kosciukiewicz, 28 anni, lontano dai modelli precedenti, anche perché la Cavani questa volta fissa la narrazione su un concetto di fondo, dominante: l’innamoramento totale, appassionato di Francesco per il Cristo.

Le sequenze forse più riuscite – e commoventi – sono quelle in cui la regista segue il percorso spirituale del santo, dalla chiamata- tutta interiore- ai primi passi, dal contatto col papa (un Innocenzo III giovane, com’era in effetti), al rapporto con l’Islam. L’ultima parte è forse la migliore, dove si mostra un Francesco nei boschi, disperato per la mancanza del “sentire Dio”, e poi la morte, che come un corale, termina con un “grazie”. Delicatissimo è il momento della stigmatizzazione che non si racconta, ma di cui si vedono gli effetti: Dio parla attraverso il dolore, Francesco diventa Cristo anche nel corpo. Questo è un momento di poesia religiosa vera, in cui la Cavani oltrepassa la verità storica -Francesco morì sulla nuda terra alla Porziuncola –per dare la sua interpretazione del santo appunto come “innamorato”.

Per il resto della fiction, ci sono momenti di stanca – il discorso di Francesco ai crociati -, qualche cedimento al sentimentale, talora la recitazione dei comprimari è sbrigativa, e si avverte anche che non c’erano molti soldi a disposizione…

Ma la Cavani ha il merito di averci dato il suo – ultimo? –Francesco come un uomo “tutto vangelo” (i paragoni con Bergoglio si sprecano, ma il film è stato girato prima della sua elezione) che capisce lentamente la sua strada, ha un rapporto sereno con le donne (con Chiara) e difficile con l’istituzione che ingloba il movimento in un “Ordine”, ma che ammette tranquillamente di non avere la stoffa del leader e dell’organizzatore (com’era in verità).

Riguardo ai costumi, la regista ha preferito evitare alcuni immagini classiche (la tonsura clericale, l’abito grigio, il saio delle monache) per dare di Francesco e dei suoi –Chiara compresa – l’immagine di una gioventù libera, mite e forte insieme ,determinata nel suo ideale. Un messaggio alle attuali giovani generazioni?

 

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