Il filo che lega Oriente e Occidente

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Più la distanza cresce, più le differenze si fanno evidenti. Già il primo simposio, quello indùcristiano, aveva accomunato due universi assai distanti, seppure uniti da lontanissime comuni radici indo-europee. In questo secondo simposio, invece, proprio nulla pare unire i partecipanti delle due fedi, salvo forse qualche familiarità di colori, sguardi e gesti portati dai media che vogliono fare del pianeta un villaggio. Ma in realtà, come viene sottolineato da più parti, bisogna in qualche modo dare una sostanza, un contenuto al voluto avvicinamento, che non si può certo limitare all’interesse di tanti occidentali per la meditazione buddhista, o della occidentalizzazione pratica di tanti immigrati orientali di religione buddhista. Non basta. L’avvicinamento, il dialogo, ha bisogno di sostanza. Il simposio che unisce cristiani e buddhisti di quattro tradizioni – theravada thailandese, nichiren-shu e tendai-shu giapponesi, con quella più recente della Rissho Kosei-kai dallo stesso Giappone – non ha pretese culturali particolari. Non vuole raggiungere risultati eclatanti. Non vuol fare notizia. Vuole essere un semplice contributo alla fratellanza universale, risalendo secoli di separazione o forse di semplice reciproca indifferenza. Per secoli, le nostre culture e tradizione religiose sono state, di fatto, estranee le une alle altre. Se qualche comunicazione c’è stata – e c’è stata -, è avvenuta a livello di piccole élite illuminate, senza ripercussioni sui popoli. Né ha giovato, negli ultimi cinquecento anni, l’incontro ravvicinato dell’occidente con l’oriente: incontro non segnato dall’ammirazione per le diversità che si incontravano, ma dalla incomprensione reciproca che ha scavato veri e profondi fossati di sospetto. Fossati e sospetti che oggi è di vitale urgenza colmare e superare, perché la tecnologia di fatto sempre più apre le nostre culture le une alle altre, non avvicinandole ma gettandole troppo spesso l’una contro l’altra: costringendole, se così posso dire, ad uscire dalle loro mura, dalle loro sicurezze, per avventurarsi in una terra tutta da esplorare e da abitare. Una terra aperta dalla conoscenza reciproca che ci conduca – ed oggi è assolutamente necessario – ad abitare l’uno accanto all’altro nella pace e nella fraternità. Abitare in una vicinanza che ci faccia sempre più un popolo unico, il popolo dell’uomo, ma senza cancellare le differenze, che custodiscono ricchezze immense di saggezza e di luce; ricchezze senza le quali il futuro sarebbe ben povera cosa. Dharma e compassione buddhista da una parte, agape dall’altra. Difficile capirsi di primo acchito. Il simposio inizia innanzitutto nell’ascolto reciproco, nello svuotamento interiore che permette di accogliere la fede dell’altro. Ma cos’è il dharma? È quella regola che, rivelando la radice profonda delle realtà, ne fissa la condotta sia nell’ordine cosmico che in quello morale e religioso. Da qui la compassione, lo sguardo d’amore su tutti i viventi nel loro non facile cammino verso la verità, la liberazione. Che tutti gli esseri siano felici (…). Come una madre, con il pericolo della sua vita, sorveglia e protegge l’unico figlio, così con uno spirito senza limiti bisogna amare teneramente ogni realtà vivente, amare il mondo nella sua interezza, sopra, sotto, intorno, senza limitazione alcuna, con una infinita bontà piena di benevolenza, è scritto nel Suttanipata. Il Buddha è stato l’incarnazione perfetta di questo ideale di vita. Maggiore familiarità, da parte degli occidentali, si trova col concetto di agape, l’amore cristianissimo, l’amore che è Dio stesso e che si espande, si rovescia come acqua di vita su tutti gli esseri, nessuno escluso, con tenerezza infinita. Quell’agape che ha avuto in Gesù la sua massima e irraggiungibile espressione. Agape che si dilata sino a raggiungere tutte le creature di Dio. Scrive Chiara Lubich. Signore, dammi tutti i soli… Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo: anche le piante sofferenti mi fanno pena…, anche gli animali soli. Chi consola il loro pianto? Chi compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato? Dammi, mio Dio, d’essere nel mondo il sacramento tangibile del tuo amore, del tuo essere amore: d’essere le braccia tue che stringono a sé è consumano in amore tutta la solitudine del mondo. Dal confronto qualche convergenza emerge con naturalezza, come elementi che giacciono da sempre negli archetipi antropologici, in una sorta di strato originario che sottende l’umanità. Non tentazioni sincretiste – ché qui si dialoga, non c’è fusione -, quanto spunti di fratellanza. Alla fine, sia il dharma che l’agape appaiono parole-realtà che dicono, ciascuna nel suo modo, la pienezza della vita, della luce. Quella pienezza che deve superare i limiti della ristretta e illusoria individualità in una beatitudine che non può essere detta: quella pienezza che rimane sempre al di là delle nostre parole. Quanto l’occidente, così avido di parole, ha da imparare dal silenzio del Buddha! E dalla croce del Cristo!, dice il prof. Zanghì. Le sapienti relazioni – sia da parte buddhista che cristiana – svelano i diversi aspetti del dharma e dell’agape, non solo spirituali, ma anche calati nella politica, nell’economia, nella psicologia… Tra le altre, si ricordino in particolare, da parte dei buddhisti, la spiegazione della meditazione vipassana fatta da Phra kru Bhavanavirach, le parole sapienti del gran maestro theravada Ajahn Thong, quelle concrete del presidente della Rissho Kosei-kai, Nichiko Niwano. Gli interventi, sia cristiani che buddhisti, suscitano un reale interesse vitale e culturale: Ho intuito la profondità del cristianesimo, una religione che tanti considerano troppo materialista e facile, mi dice il venerabile Ryoko Nishioka, presidente della tradizione tendai-shu giapponese; mentre Piero Coda, professore di teologia trinitaria alla Lateranense sottolinea la straordinaria grazia che abbiamo nell’ascoltare la fede altrui col cuore, la mente e l’anima, trovandovi sempre nuove ricchezze.

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