Il figlio ritrovato

I quattro cavalli bianchi avanzavano con eleganza, trainando il prezioso carico sulla carrozza addobbata come per la più bella delle feste. Si fermavano a intervalli regolari, ad un preciso segnale vocale del cocchiere; solo loro potevano distinguerlo, visto che la banda, con i suoi ritmi, accompagnava solennemente il corteo. Era un’immagine d’altri tempi: tutto così fiabesco, eppure così reale” Ne avrebbero parlato i giornali nazionali l’indomani. La processione dietro l’urna di santa Teresa di Lisieux era sorprendentemente diventata una folla. Cittadini increduli facevano ala, mescolati agli immigrati dagli occhi profondi, con i colori di altri continenti e di altre religioni. Gli uni si chiedevano: ma non eravamo una società scristianizzata? Gli altri si interrogavano, con un sospiro di sollievo: ma i cattolici trovano il tempo per una processione? Molte persone erano accorse dalle città vicine, in un moto senza tempo, al seguito della piccola santa, che continuava ad essere grande nel mantenere la sua promessa di grazie. Aleggiava sulla città un velo di paradiso, come se fosse perennemente festa, senza distinzione fra la notte e il giorno, poiché veniva vegliata sempre dall’amore filiale o dalla devozione di un’intima amicizia. In quei giorni la gente andando al lavoro, si sentiva diversa e si sussurrava con pudore il fatto, così che si poteva rilevare ancora una volta che lei era lì soprattutto per chi non la voleva, per chi portava i fardelli più pesanti e gli sguardi più disperati. Per chi si sentiva disturbato da quell’invasione scomoda ed era costretto a fermarsi” Non sono santa Nonostante avesse fatto un lungo viaggio, Carla era stata tutta la notte seduta in fondo alla chiesa, senza sentire la stanchezza. Gli occhi timidi, rivolti alla piccola scintillante urna sotto la teca di vetro, confondevano le luci. Non aveva neppure trovato il coraggio di sfiorare l’urna con una carezza, come facevano tutti. Restava lì perché le ritornavano alla mente le parole rassicuranti di Agnese, amica e suora carmelitana di clausura: “Puoi chiedere molto a santa Teresa, di lei ti puoi fidare, ha a cuore la tua fede più di ogni altra cosa” Puoi chiederle tutto!”. E ora lei era lì, perché voleva credere, al di là del buio, che Dio l’aveva a cuore, nonostante tutto. E quella determinazione le bruciava dentro e faceva da sfondo ai pensieri che piano piano sbiadivano con il profumo delle rose. Poi nell’alba grigia era uscita dalla chiesa e, mentre misurava pesantemente i passi, sentì venire meno la riservatezza e le balenò nella mente il dialogo impossibile con la santa del Bambin Gesù: “Chissà quanti miracoli importanti ti hanno chiesto e io ti disturbo per così poco! Non che la mia sia una grazia da nulla per me” Ormai la mia vita è diventata un calvario. Non so più cosa fare, mi sento alla deriva. Ti prego per Nicola””. Carla sospirò forte, mentre la brezza fresca le ricordava il burrascoso ritorno a casa di Nicola, figlio ormai adulto, e i giorni successivi, fatti di ore di silenzio, di rifiuto, di incomunicabilità e di ostilità. Lei aveva avuto pazienza. Si era detta: “È un momento difficile, passerà” “. E invece non era passato niente” “Avevo tanta buona volontà e capacità di comprensione – continuò Carla nel dialogo d’anima -, ma poi, non ho più retto al disorientamento. Io, un’estranea per questo figlio! Tu hai avuto genitori santi, ma io santa non sono, non ho abbastanza fede e non so reggere a questa sofferenza! “Gli volevo chiedere di andarsene. Gli farà bene, forse. Però poi ho sentito che passavi di qua e sono venuta a chiederti la grazia di poter aiutare questo figlio; così ho deciso di aspettare”. Aspettare. I genitori sanno aspettare sempre, perché quella nuova vita, l’infinito della propria esistenza, è un bene travolgente, per cui si azzerano tempi e misure per una capacità di accoglienza che sa di Dio. Meglio non aggiungere altra amarezza” È una giornata di festa. Nicola è partito presto. Carla non sa dove è andato. Come sempre. Lei sta asciugando i piatti. Poi una telefonata la lascia sbigottita. Aggiunge solo: “La ringrazio, mio figlio verrà a prendere tutto. Lei è stato molto gentile e anche onesto” Grazie”. Carla si siede con lo strofinaccio umido ancora fra le mani e rimette in ordine le idee: quest’uomo al telefono dice di avere ritrovato nel suo campo il portafoglio di Nicola, con patente e gli altri documenti all’interno. I soldi non ci sono, naturalmente. Suggerisce però di andare a riprendersi il tutto. “E Nicola dove sarà? – si chiede Carla -. Perché non mi avvisa di quello che è successo? O forse gli è accaduto qualcosa di grave? Cosa posso fare?”. L’angoscia si scioglie solo quando, a sera, Nicola ritorna e si chiude in camera, come se nulla fosse accaduto. “Cosa gli dico adesso? – pensa Carla -. Questo è il momento di chiedergli di andarsene, se non sono neppure degna di esser informata di quanto accade e, in fondo, mi riguarda. Dove sono finiti tutti i miei insegnamenti? “. Poi sente scendere una grande pace in sé. E mentre i pensieri si fanno più chiari e la creatività dell’amore mescola i suoi colori sulla tavolozza della quotidianità, lei riprende il recente dialogo con la piccola santa: “Mettiamoci nei suoi panni, santa Teresina: gli è capitato l’ennesimo guaio. Non mi dice niente perché è deluso e vuole sbrigarsela da solo; come al solito non vuole consigli e io devo imparare a non darne più”. Carla sospira, comincia a sentirsi più leggera e prosegue: “Intanto gli dovrei rendere questa esperienza un po’ meno dura. Meglio non aggiungere altra amarezza” Quando Nicola aprirà gli occhi e capirà quanto ho sofferto per lui, si dispererà, sarà ancora più umiliato. Cosa avrebbero fatto i tuoi beati genitori? Meglio che mi senta capace di accoglienza e di rispetto. Forse così lo aiuterò a volersi bene e ad essere un buon figlio!”. “Chiamami se hai bisogno, mamma” Quando Nicola ricompare sulla soglia della cucina, Carla gli va incontro sicura, perché non si sente sola: “Meno male, sei tornato: ero così in pensiero per te. Chissà come ti sarai preoccupato per aver perso il portafoglio, avrai passato una pessima giornata! Spero che tu non ti sia disperato e non abbia avuto per questo dei problemi gravi. Stai tranquillo, sai: un uomo ha telefonato per avvisarti di aver ritrovato il tuo portafoglio e i tuoi documenti gettati nel campo vicino a casa sua. Ecco il suo indirizzo” Almeno recuperi i documenti “”. E Carla allunga un foglietto che Nico guarda con sospetto. Carla ha giocato il tutto per tutto, ha qualificato l’autorevolezza del suo ruolo di madre aprendo le braccia; ora tocca a Nicola scegliere se buttare in quell’abbraccio anni di solitudine o se irrigidirsi in uno scampolo di diffidenza. Nicola la guarda, gli occhi si arrossano, la mascella si contrae e raccoglie il capo fra le mani. Non tenta un abbraccio di cui avrebbe così bisogno. Carla lo ascolta: “Non sapevo come dirtelo. Mi hanno rubato tutto, anche le chiavi. Ero disperato per i documenti. Un altro guaio che si aggiunge agli altri problemi che ti ho sempre dato. Perdonami! Anzi, ora vado a riprendermi il portafoglio. Ricominciamo tutto, ti prego, mamma “. Carla ascolta quella parola, “mamma”, e le sembra possibile che non sia passato molto tempo dall’ultima volta che l’ha sentita. Anche Nicola l’ha perdonata per non aver saputo capire. Per questo afferra una penna e scrive sul suo biglietto da visita il numero del suo cellulare. Lei si stupisce: non sapeva che Nicola avesse un cellulare! “Questo è il mio numero di cellulare. Chiamami se hai bisogno”. E scappa per non doversi commuovere: sua madre è disposta a comprenderlo; presto le avrebbe anche comunicato che stava dando un senso compiuto alla sua vita, finalmente! Carla riprende il colloquio spirituale con la santa della piccola via: “Ecco, grazie a te, il più è fatto, ho ritrovato Nicola. Se tu mi sarai vicina, troverò il coraggio di continuare a vedere al di là delle cose. È la grazia che ti chiedo ora, per me e per Nicola”.

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