Il figlio più piccolo
Esce il 19 l’ultimo film di Pupi Avati. Completa la sua trilogia sulla paternità, iniziata con La cena per farli conoscere (un padre inadempiente che si ricorda dei figli solo nel momento del bisogno); Il papà di Giovanni (un padre iperprotettivo nei confronti della figlia). E ora questo film in cui, in un modo più graffiante del solito (ma col graffio di chi butta il sasso e poi subito si ritira, tipico di Avati) Christian De Sica interpreta un padre che si ricorda del figlio solo per imbrogliarlo, addossandogli i suoi problemi con la giustizia e il fisco.
Avati con questo film – afferma – ha voluto dare una svolta al suo modo di raccontare. Abbandona, quasi del tutto, il ricordo, la nostalgia e denuncia il presente, l’imbarbarimento dei rapporti. Luciano è un immobiliarista che, assistito da un avvocato senza scrupoli (Luca Zingaretti) sposa a Bologna Fiamma (Laura Morante), con cui ha già due figli, per poi fuggire, addossare a lei i debiti e rifarsi una vita. La donna, romantica e ipersensibile, cresce a fatica i due ragazzi, di cui l’uno, Baldo (Nicola Nocella) è un candido studente al Dams con la vocazione alla regia e l’altro, Paolo (Marcello Maietta) fa il barista, ed è pieno di rancore verso il padre che da anni li ha abbandonati. Travolto da un crack economico e da inchieste giudiziarie, Luciano, che sta per sposare un’arrivista, politico in gonnella, si ricorda dell’ex moglie, fa venire Baldo a Roma e all’ingenuo ragazzone trasferisce le sue aziende, con relativi guai.
Avati getta uno sguardo sconsolato sulla società nostrana, sulla famiglia scomposta e fatta di individui cinici, sull’egocentrismo di persone per le quali conta ciò che hai, non ciò che sei, e bisogna dire che gli attori che dirige con precisione danno il meglio: da De Sica, finalmente in un ruolo drammatico, all’esordiente Nocella, dalla Morante a Zingaretti, e a tutto il cast, fra cui spiccano Manuela Morabito (la cinica Betty) e il divertente Maurizio Battista (il cameriere tuttofare Nazareno).
Il figlio più piccolo è un film corale, intrecciato di sentimenti, di episodi piccoli e grandi, con creature idealiste e veri mostri di cattiveria. Insomma, Avati ha l’ambizione di una commedia drammatica che guarda all’oggi e parrebbe senza speranza, vista l’osservazione della realtà nostrana. Eppure, con quel suo stile amarognolo, il fare allusivo più che descrittivo, il succedersi di battute pungenti e involontariamente comiche, di personaggi amorfi e di anime candide, il mondo del regista apre una finestra di aria pulita. È l’aria di Bologna (Roma invece sembra il cuore dell’amoralità), dove vive l’ingenuo Baldo i cui grandi occhi limpidi sono quelli dei giovani di oggi che ancora coltivano i sogni e ci credono, così come ci crede Fiamma, svanita ma pura, che si riprende il marito tornato da lei, anche se non si sa per quanto. Perché, una volta scontati gli arresti domiciliari, è possibile che Luciano ritorni sulla vecchia strada…la volpe perde il pelo ma non il vizio, chiude con realismo emiliano Avati. Ma l’inquadratura di Baldo in moto con la sua ragazza ridente e timida fa capire che la porta della speranza non è chiusa. Forse i figli sono migliori dei padri?