Il figlio che vorrei
“Abbiamo due figli, ma quanto basta per accorgerci di come siano diversi tra loro e da qualsiasi nostra aspettativa. Sentendo parlare della legge sulla fecondazione artificiale in discussione in Parlamento, ci chiediamo se gli aspiranti genitori che approdano a queste tecniche non rischiano di scivolare involontariamente nell’illusione che, programmando la nascita di un figlio, questo sarà inevitabilmente conforme alle loro aspettative”. Lucia e Gianni – Torino Abbiamo già affrontato recentemente questo tema in un numero del giornale, ma vi torniamo volentieri sopra. Come è noto, la Camera ha approvato alcuni articoli del disegno di legge sulla fecondazione medicalmente assistita; in particolare, con l’approvazione dell’art.1 è stata affermata la necessità di assicurare i diritti del concepito, in quanto soggetto coinvolto (art.1). Al di là dell’interesse diretto di quanti si rivolgeranno ai centri autorizzati, ci sembra che questa legge influirà sulla cultura che tutti respiriamo, dunque sulla nostra vita concreta come famiglie. La vostra domanda mette a fuoco proprio uno di questi aspetti fondamentali del rapporto genitori-figli. Il principio affermato nell’art.1 ci sembra in qualche modo aiutare le coppie, che legittimamente tanto desiderano un figlio, a pensare a questo, fin dall’inizio, come ad una persona unica ed irripetibile, con una propria identità, espressa dalle sue caratteristiche fisiche, psichiche e spirituali che andrà man mano manifestando; una persona che domani dovrà fare le sue scelte libere, che dopo il cordone ombelicale fisico dovrà tagliare quello psicologico dai genitori. Operazione questa delicatissima,affidata non alle mani di un chirurgo, ma alla libertà e alla fantasia dell’amore dei genitori e del figlio stesso. E le vie attraverso le quali questo “volo” si realizza (con gli immancabili vuoti d’aria che ci lasciano spesso senza fiato) sono sempre, per ogni figlio, imprevedibili e originali, come voi stessi testimoniate. L’ormai lunga esperienza condivisa con migliaia di famiglie di tutte le culture ci ricorda poi che esiste anche un’altra strada, capace di dare un nuovo figlio ad una coppia, che ne abbia o no uno “biologico”, cioè l’adozione. Con essa è possibile dare una famiglia ad un bambino che, per vari motivi, non può vedere altrimenti soddisfatto questo suo fondamentale diritto. Al di là della scelta tra adozione e fecondazione assistita, ciò che vale è che la coppia si metta nelle condizioni di vivere la “cultura del dare”, tanto vicina all’invito evangelico di accogliere i piccoli; che si apra alla vita, donando lo spazio prezioso dell’amore coniugale ad uno di questi, lasciandosi allo stesso tempo arricchire, generosamente e consapevolmente, dal suo “prevedibile” bagaglio di novità.