Il fenomeno Sai Baba

Nei giorni scorsi è stato dato un notevole spazio alla morte di Sai Baba, una figura nota in India ed in molte parti del mondo per il suo vasto seguito
sai baba

Sathya Narayana Raju Ratnakaram, più noto come Sai Baba (nelle foto: da giovane e prima di morire), era nato nello stato dell’Andra Pradesh nel 1926 ed è morto alla fine di aprile di quest’anno, suscitando il cordoglio di quanti ne seguivano la filosofia e cercavano di catturarne il darshan, la possibilità di vederlo anche per un attimo. Secondo la tradizione indù, infatti, il darshan permette di assumere in qualche modo le qualità del guru. Sai Baba era riconosciuto tale in diverse parti del mondo ed il suo ashram, centro di spiritualità e di attività sociali e filantropiche e sociali, accoglieva migliaia di persone, desiderose di un aiuto spirituale o psicologico o di un miracolo per uno stato di salute seriamente compromesso.

 

Ricordo che negli anni ’80 e ’90, durante il mio servizio presso il Consolato Generale di Mumbai, varie volte l’anno un collega si recava al centro di spiritualità del guru indiano, non lontano da Bangalore, per avviare la pratiche di rimpatrio di italiani morti mentre cercavano di essere guariti grazie alle doti di Sai Baba. In effetti, fin da giovane, dall’età di 14 anni, Sathya Narayana aveva cominciato a dichiararsi come l’incarnazione del Sai Baba di Shirdi, un santo vissuto nel XIX secolo e morto nel 1915, considerato l’incarnazione dell’amore e ancor oggi amato e venerato da milioni di indiani, che ne tengono l’immagine nelle case, sui tavoli degli uffici, sui cruscotti delle macchine o degli scooters.

 

Il fenomeno del Sai Baba, recentemente scomparso, non è stato privo di critiche e di ombre. Apostolo di una filosofia di vita tipicamente indù e, in particolare, dell’induismo Vedanta, frutto del periodo di rinascimento che la religione ebbe nel corso del XIX secolo e dei primi decenni del XX, il piccolo uomo, perennemente vestito di arancione e dalla inconfondibile capigliatura ricciuta, ha suscitato sentimenti opposti: grandi entusiasmi ed accuse severe. Dotato probabilmente di capacità sovrannaturali, non lasciava indifferenti coloro che gli si avvicinavano. Seguito da milioni di persone era anche oggetto di rispetto e di venerazione da parte di politici ed uomini di potere in India.

 

Nel corso degli anni il suo centro di spiritualità era diventato una vera multinazionale con interessi non indifferenti che ruotavano attorno sia alla dimensione spirituale che a quella filantropica e di assistenza sanitaria, che arrivavano fino all’India rurale e ai poveri di altri Paesi del globo.

 

Alcuni dei suoi slogan spirituali sembravano dare una risposta alla crisi dell’uomo occidentale, in cerca di una identità nuova di fronte alla crisi che l’Europa e l’Occidente da tempo vivono. «C’è una sola razza: la razza dell’umanità. – affermava – C’è una sola religione: la religione dell’Amore. C’è un solo linguaggio: il linguaggio del cuore. C’è un solo Dio: Egli è onnipresente». Proprio allo scopo di scoprire la natura divina presente in ciascun uomo e donna, dall’India, i seguaci del guru indiano, hanno dato vita negli ultimi decenni a centri o comunità in 137 Paesi del mondo.

 

Al di là delle critiche e controversie suscitate, il Sai Baba recentemente scomparso ha senza dubbio rappresentato un vero fenomeno spirituale mondiale pubblicizzato ovunque dai canali della globalizzazione e dell’informatica. Un processo su cui riflettere, sotto molti punti di vista.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons