Il fenomeno Padre Pio
Non sono mai stato a San Giovanni Rotondo. Nel convento del “frate del Gargano” o nella vicina “Casa sollievo della sofferenza”, il complesso voluto dal cappuccino nel lontano 1947 ed ora uno degli ospedali d’avanguardia europei. Ho visto solo alla televisione due sceneggiati interessanti, anche perché riflettono sull’esperienza di lui da angolazioni diverse e, tutto sommato, complementari. Mi ha incuriosito tuttavia questa figura che pare ritagliata da una “legenda aurea” medievale, con i fenomeni “mistici” dell’agiografia tradizionale: estasi, stimmate, bilocazioni, profumi… E miracoli. Come l’ultimo, quello del ragazzino pugliese guarito, per intercessione del frate, da una malattia gravissima. Ho visto la folla in piazza San Pietro: facce giovani e anziane di gente come noi, comune; ma anche i personaggi che contano, politici, studiosi, artisti. Ho seguito i dibattiti televisivi – qualcuno per una settimana intera, tutte le sere -, una rassegna romana sulle sue “reliquie”, ho letto diverse biografie. Mi sono convinto: padre Pio è veramente una figura universale, seguito a livello mondiale: ed un fenomeno mediatico. Eppure, quest’uomo del profondo Sud, figlio di contadini schietto ed ispido, ma anche tenerissimo, tutto avrebbe voluto, tranne che diventare oggetto di devozione (e di curiosità) universale. Cosa che, in vita, gli ha procurato delle vicende che sanno di martirio prolungato, forse più pesante delle ventitré diverse malattie (tante ne ha contate il vaticanista Orazio Petrosillo) del suo “corpo patologico”. Il fatto è che padre Pio era una summa di carismi: di diciotto tipi differenti, sempre secondo la stima di Petrosillo e quindi tanto nascosto, per forza di cose, non poteva stare (nonostante i vari “arresti domiciliari” inflittigli). Il frate era un osso duro: intransigente a livello di fede e di morale, con una spiritualità cristocentrica di perfetta marca francescana, e un senso di assoluta obbedienza, a Dio e ai suoi superiori. Conoscendo i cuori, invitava tutti alla “conversione”, servendosi della preghiera, di una vita di totale penitenza, e del confessionale: qualcuno ha calcolato che abbia confessato un milione e duecentomila persone! Affascinante ed anche, a suo modo, scomodo, come è sempre la verità. E forse sta anche in questo aspetto una parte del segreto del suo fascino. Padre Pio era una persona “vera”. A sentire, in una recente trasmissione di Porta a porta, personaggi come Pippo Baudo o Enrico Montesano affermare la devozione per il frate o il ritorno alla pratica religiosa dopo decenni, ci si rende conto che un uomo simile costringe a rientrare in sé stessi e a porsi domande fondamentali sulla propria esistenza. In un’epoca così frammentata e senza senso come la nostra, nell’età del post (o pre?) cristianesimo, un cappuccino stigmatizzato che ha il sapore d’altri tempi, morto nel 1968, in piena contestazione europea, ha evidentemente qualcosa da dire e da offrire. A tutti, non solo alle centinaia di migliaia di devoti che affollano gli incontri settimanali dei suoi “gruppi di preghiera” in tutto il mondo. Perché la sua è stata, verrebbe da dire, una santità voluta quasi a furor di popolo. La verità è che l’uomo oggi, soprattutto l’uomo sazio dell’occidente, è più solo che mai. Le risposte rassicuranti della scienza o della magia (fenomeno di diffusione mondiale) non bastano, né saziano chi vorrebbe risposte al dolore, chi è alla ricerca di un senso nella vita. Le illusioni di una società sempre più mediatica, per chi sa riflettere, si stanno rivelando per quello che sono: illusioni, che lasciano il vuoto. C’è fame di trascendenza, di sacro. Non di quello contraffatto dalla magia o dal culto delle personalità emergenti, ma quello autentico, che è insieme vero e consolante. Si cerca qualcuno “a cui ci si può aggrappare”, come afferma un personaggio insospettabile, l’attrice Valeria Marini. Il frate di Pietrelcina è l’immagine appunto di uno a cui ci si può aggrappare, ed è forse questo – come suggeriva Giulio Andreotti – il vero miracolo di padre Pio. Il quale, avendo conosciuto di persona cosa sia il dolore in molteplici sfumature, rappresenta una figura in cui ci si può ritrovare: un uomo della speranza, per tanti “l’ultima spiaggia”, come afferma Montesano. E non importa che siano credenti o meno. Un’attrice che si definisce “agnostica”, Elena Sofia Ricci, ha raccontato di una visita alla tomba del frate: “Nessun miracolo – ha detto -, ma da quel momento sono piena di una speranza che non ho mai avuto”. Un uomo che è stato “vittima d’amore”. Non sarà questo che istintivamente spinge qualcosa come sette milioni di persone ogni anno a San Giovanni Rotondo? Nel nostro tempo che nasconde il dolore, uno che della sofferenza ha fatto un’arma – vittoriosa – rappresenta un segnale. Leggendo le sue pagine, imparando i racconti delle “prove” a cui è stato sottoposto – e di cui soffriva apertamente – si fa strada una convinzione: quest’uomo assomiglia ad un Cristo dal volto umano, che conosce l’ingiustizia e l’abbandono, ma continua a voler bene a tutti. Un’immagine così normale, di un Dio che è vicino, che non dà risposte bell’e confezionate, non lascia indifferente nessuno. Perché di tutti i fatti “miracolosi” della vita di padre Pio, oggi resta il ricordo, anche se documentato. Ma, ad esempio, le stimmate” non ci sono più: sono scomparse qualche ora prima della morte. Appartengono al passato. Il fascino tuttavia continua, anzi – osservando la folla alla canonizzazione -, sembra destinato ad accrescersi. Con il richiamo del frate ad orientarsi verso ciò che non passa, ad una visione della vita aperta all’amore per chi soffre – la “Casa della sofferenza” ne è un esempio -; e per i cristiani, ad una adesione senza una adesione senza tentennamenti al vangelo. Il nostro secolo ha visto cosa può fare l’uomo all’uomo quando dimentica il valore della vita e di tutto ciò che essa contiene, dolore compreso. Francesco Alberoni, sociologo non credente ma rispettoso del fatto religioso, ha concluso: “Padre Pio è una figura eminente e drammatica del ventesimo secolo, un’epoca che ha conosciuto ogni tipo di infamia. È il santo che ha subìto nel suo corpo le sofferenze del secolo ed è per questo motivo che affascina. È il simbolo di un’epoca, e la sua influenza nel mondo cattolico o no (per me, ndr) ha del misterioso”. Vero. Nell’amore – e nella sofferenza del frate tutto voleva essere tale – c’è sempre del mistero, una parola in più di quel che si vede. Forse è ciò che tutti noi, più o meno coscientemente, cerchiamo. L’ULTIMO MIRACOLO Si chiama Maria Lucia Ippolito, 42 anni, insegnante. È la madre di Matteo Colella, il ragazzino che tra il 20 e 31 gennaio 2000 è guarito da una rarissima e devastante forma di “sepsi meningoccica” per intercessione di padre Pio. Maria Lucia racconta ne Il miracolo di padre Pio (Mondadori, pp.349, M12.00) la storia dolorosa e bella del prodigio, base per la canonizzazione del frate di Pietrelcina.