Il fenomeno Diego Matheuz
All’Accademia di Santa Cecilia in Roma è ritornato il “fenomeno” Matheuz. Venezuelano, 24 anni, il giovane direttore dalla chioma corvina e il sorriso smagliante (e timido) è l’ultima rivelazione del celebre progetto sociale creato da José Antonio Ubreu che coinvolge migliaia di giovani venezuelani nelle orchestre in un’operazione educativa e culturale di alto livello. Ne sono usciti direttori come Gustavo Dudamel e il nostro, sostenuti da musicisti del calibro di Simon Rattle e Claudio Abbado. Un fatto che l’Italietta guarda con ammirazione, anche se non sposta un dito per inserire musica e cinema nelle scuole superiori…
Torniamo a Matheuz. Ha diretto la Settima Sinfonia di Beethoven. Gesto falcato, a suscitare il suono, che ricorda molto Abbado, tempi scattanti, indicazioni precise agli orchestrali.
La Settima, si sa, è difficile, perché un Giano bifronte: il secondo tempo – il famoso Allegretto – è una sorta di marcia funebre quasi indolore, tristissima eppure pacifica, dove gli archi si incontrano e si separano cantando insieme e distintamente tra pianissimi e fortissimi. Occorre equilibrio e sapienza tecnica per non perdersi e offrire un’esecuzione livellata o retorica. Matheuz ci riesce benissimo: il brano si fa una melodia impalpabile, tenera e lacrimosa.
L’ultimo tempo della Settima è, secondo Wagner, “l’apoteosi della danza”. Matheuz trascina l’orchestra in un ritmo scatenato, forse troppo veloce perché dà luogo ad alcune imprecisioni negli stacchi, ma l’aria è dionisiaca, ebbra.
Quando poi si passa a Mozart e al suo celeberrimo Concerto per clarinetto, tutto cambia. L’orchestra è leggera, Matheuz accompagna con pianissimi molto belli, sussurrati, in particolare il secondo tempo, l’Adagio. Il clarinettista Alessandro Carbonare è stupendo nel creare l’atmosfera lunare della notte, plasma la melodia come una luce morbida, ed il suono di questo strumento così misterioso indugia ad entrare nell’anima di chi ascolta, recandogli un gran bene. Poi si diverte nel Rondò finale a correre qua e là e allora il gioco fra direttore e solista si fa brillante, come è giusto che sia.
Risultato. Successo grande per tutti e Matheuz che abbraccia e dà la mano ad ogni singolo orchestrale, grato. Per fortuna, sua e nostra, non è entrato nei panni del divo. Sa che ancora deve crescere.
Stasera l’ultima replica a Roma alle 19, 30.