Il federalismo penalizza i piccoli comuni
Contraria alle nuove norme l'Associazione nazionale dei comuni italiani che chiede una nuova intesa.
Il federalismo fiscale municipale con la nuova Imu, l’imposta municipale unica, che dovrebbe entrare in vigore dal 2014, favorisce i Comuni grandi e quelli turistici e penalizza la maggior parte dei piccoli e medi Comuni e quelli di montagna, che costituiscono la maggioranza dei 1.206 Comuni della Regione Piemonte.
Nel decreto legislativo n. 292 sulle “Disposizioni in materie di federalismo fiscale municipale”, attualmente in discussione presso la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale, rimangono molte cose non chiare. Le uniche certezze sono che non tutti i Comuni ne guadagneranno ma sui 92 capoluoghi di provincia 40 saranno penalizzati, e in totale gli ottomila Comuni perderanno circa 445 milioni di euro, facendo risparmiare le casse dello Stato che avranno meno trasferimenti (dagli attuali 6 miliardi e mezzo ai 5 miliardi e 967 milioni). Altra certezza è che il federalismo determinerà un radicale cambiamento di quelli che sono i meccanismi che regolano le entrate di ogni singolo Comune italiano, lasciando a favore degli enti locali, la fiscalità immobiliare e il gettito derivante dalla nuova cedolare secca sugli affitti.
I dati sono forniti dalla Copaff, la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, ma mentre sono reali le cifre degli attuali trasferimenti, sono soltanto stime quelle delle future entrate. Che cosa realmente succederà si capirà in parte nei prossimi mesi e in parte solo nei prossimi anni. A partire dal 2011 i tradizionali trasferimenti ai Comuni non arriveranno più dai capitoli di spesa del Ministero dell’Interno con il titolo “Trasferimenti agli Enti Locali”, ma arriveranno da un fondo denominato “Sperimentale di riequilibrio”, alimentato dal gettito dell’imposta di registro, di bollo, dall’imposta ipotecaria e catastale, dai tributi catastali speciali, dall’Irpef relativa ai redditi fondiari e dalla cedolare secca sugli affitti. A partire dal 2014 ad ogni Comune verrebbero erogati quote del gettito derivante da questi tributi attinenti agli immobili situati nel territorio di competenza dell’ente e sulla base dei fabbisogni standard. L’entrata derivante dalla devoluzione di queste entrate garantirà una parte dell’entrata necessaria al funzionamento dei Comuni, mentre la vera autonomia finanziaria da dove troveranno sostegno le entrate dei Comuni deriverà dalla nuova imposta chiamata Imu (imposta municipale unica) imposta che raggrupperà circa 24 attuali tasse comunali di cui le principali sono quattro: Ici, l’Irpef sugli immobili, l’imposta di registro sulle transazioni immobiliari e la tassa ipotecaria catastale dovuta sui mutui. Inoltre il decreto prevede anche l’imposta municipale secondaria, che è un’imposta facoltativa, che sostituirà le imposte già esistenti come Tosap, Cosap, Tarsu, Tassa Pubblicità, Canone per gli impianti pubblicitari. La legge permette che per questa addizionale siano i Comuni stessi a sceglierne l’ampiezza, e questo per i Comuni che devono far cassa potrebbe essere decisivo per mantenersi in piedi, ovviamente a svantaggio dei cittadini contribuenti. Da un lato dunque si tolgono le tasse statali ma dall’altro si obbligano i Comuni ad aumentarle con una fiscalità connessa soprattutto agli immobili, magari con il ritorno dell’Ici, oppure invitando i Comuni a cementificare sempre di più, perché per introitare imposte e tasse occorre con questo sistema fiscale aumentare il patrimonio immobiliare di una città. Se la fiscalità è connessa soprattutto agli immobili e sulle movimentazione degli stessi (compravendite, locazioni, ecc) ci sarà anche una fortissima sperequazione fra Comune e Comune.
I dati della Copaff dimostrano infatti che i cespiti immobiliari considerati producono un’entrata molto disomogenea da Comune a Comune e di conseguenza sarà assolutamente necessario un consistente fondo perequativo di ridistribuzione molto ”invadente” a cui questi enti dovranno attingere per garantirsi le entrate necessarie a gestire i servizi. E questo non riguarda soltanto le città del Sud (secondo i dati il Comune capoluogo più penalizzato sarebbe L’Aquila con un taglio del 66 per cento rispetto al 2010, poi verrebbe Napoli – che oggi ha il trasferimento per abitante più alto, rispetto a tutti gli altri capoluoghi italiani, 668 euro contro una media di 387 – con un taglio del 61 per cento, e poi Messina con un taglio del 59 per cento) ma molti Comuni delle montagne, quelli non strettamente turistici, dove negli anni sono stati costruiti molti immobili, ma quelli che già oggi fanno fatica a sopravvivere.
“La dimostrazione del fallimento sul nascere dell’Imu – dice Luca Gosso, portavoce del Movimento dei sindaci – così come impostata ora, sta nel fatto che in questo modo la gran parte dei Comuni sarebbero costretti a chiedere al fondo perequativo più risorse di quelle che arriverebbero da entrate proprie. Una vera pazzia è legare il gettito comunale in buona parte al mercato immobiliare perché si tasserà un numero superiore di edifici, ingloberà l’Irpef sui redditi da fabbricati e terreni e i bolli di registro sulle compravendite”.
Il Movimento dei sindaci da tempo chiede di semplificare le cose con una semplice compartecipazione all’Irpef, mettendo a disposizione il 20 per cento dell’Irpef versato dal territorio nelle proprie casse.