Il faticoso cammino verso la democrazia

Dopo le elezioni, il paese africano è diviso in due: due i presidenti (Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara), altrettanti i governi e i primi ministri. Inutile, finora, l’intervento delle forze internazionali.
Proteste in costa d'avorio

Eppure sembrava che stavolta ce l’avrebbe fatta. Invece, dopo una campagna elettorale svoltasi all’insegna della correttezza, con tre candidati alla carica di presidente, la Costa d’Avorio è ripiombata nel caos politico e istituzionale. E se prima c’era un presidente (Laurent Gbagbo) contestato dalla parte settentrionale della popolazione, adesso è anche peggio. I capi di Stato, infatti, sono due: Gbagbo e Alassane Ouattara (già primo ministro con l’anziano presidente Houphouët-Boigny), ognuno dei quali ha nominato il proprio governo ed un primo ministro. La comunità internazionale riconosce oggi come legittimo presidente Ouattara. La Corte costituzionale, invece, vicina al governo uscente, ha avvallato l’elezione di Gbagbo. Il risultato, fanno sapere le nostre fonti locali, è uno stato di guerriglia, che vede contrapporsi i sostenitori delle diverse fazioni. Non mancano scontri, nel corso di uno dei quali sono morte venti persone. Nonostante la presenza dei caschi blu dell’Onu, diversi Stati, tra cui l’Italia, hanno richiamato in Patria i propri cittadini. La popolazione civile, dal canto suo, vive nel terrore di ritorsioni e teme che la guerra civile possa ricominciare. La circolazione all’interno del Paese è interrotta e vige il coprifuoco.

 

Le elezioni

Dalle elezioni del 31 ottobre 2010, alle quali ha partecipato l’84 per cento della popolazione, sono stati premiati Laurent Gbagbo (capo di Stato uscente) con il 35 per cento delle preferenze, e Alassane Ouattara con il 31. Il terzo candidato, Henri Konan Bedie, (già presidente negli anni Novanta), si è ritirato dalla competizione diretta andando ad appoggiare, secondo un patto firmato prima delle elezioni, Ouattara. Nei seggi, alla presenza degli osservatori internazionali, non ci sono stati particolari incidenti, e i risultati sono stati accettati da tutti. Alla vigilia del secondo turno nulla faceva presagire i problemi che poi si sono verificati. Il faccia a faccia televisivo tra Gbagbo e Ouattara si è svolto all’insegna del fair play ed entrambi hanno dichiarato che avrebbero accettato il verdetto delle urne. Gli scontri sono cominciati alla vigilia delle votazioni ad Abidjan, il centro economico del Paese, tra i sostenitori dei due candidati. Alle elezioni del 28 novembre, comunque, il tasso di partecipazione, pur inferiore al primo turno, è stato ugualmente alto: intorno al 73 per cento. I risultati, che dovevano essere noti entro tre giorni dalla Cei, la Commissione elettorale indipendente, sono stati comunicati in ritardo, mentre i media parlavano di irregolarità e di abusi nel corso delle votazioni. I sostenitori di Gbagbo hanno parlato di brogli nel Nord del Paese, dove risultava in vantaggio Ouattara. Il quarto giorno, la Cei è infine riuscita a comunicare il risultato ufficiale. Le elezioni erano state vinte da Ouattara, con il 54 per cento delle preferenze. Essendo stata fatta la comunicazione in ritardo rispetto al previsto, è intervenuta la Corte Costituzionale, vicina a Gbagbo. Avocando a sé il dossier, in 24 ore ha dato il proprio parere. Stralciando i voti di sette distretti del Nord, ha proclamato Gbagbo vincitore. Le altre soluzioni possibili (rimandare alle urne gli elettori dei sette distretti incriminati o ripescare i dati del primo turno) avrebbero invece portato alla vittoria di Ouattara.

 

Le reazioni

La comunità internazionale, Onu in testa, ha validato il risultato proclamato dalla Cei, mentre i mass media parlavano della vittoria di Gbagbo. I due presidenti si sono entrambi insediati, nominando governi e primi ministri di fiducia. Qualche giorno fa, i sostenitori di Ouattara hanno annunciato una marcia su Abidjan per sostituire il direttore della tv ivoriana, legato a Gbagbo, ma sono stati fermati da militari, forse mercenari, con almeno venti morti negli scontri. Da allora, la città è presidiata dalle forze dell’ordine. A livello internazionale Onu, Ue con in testa la Francia, Unione Africana e Cedeao (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), nonché gli Usa, hanno chiesto più volte a Gbagbo di farsi da parte. Il primo risultato ottenuto è stata la proclamazione del coprifuoco, con la chiusura delle frontiere e lo stop alle trasmissioni delle televisioni straniere. Tra la gente, vige la confusione e la paura. Tuttavia, anche tra i sostenitori del presidente uscente, si ammette che Gbagbo stavolta si è spinto troppo in là e che non è possibile cancellare i voti di sette distretti. Il Paese, al momento, è fermo e, visto l’irrigidimento delle due posizioni, non si intravede una possibile soluzione pacifica.

 

Un po’ di storia

La Costa d’Avorio è indipendente dal 1960. Ha vissuto anni di prosperità, grazie alle esportazioni di caffè e cacao sotto il suo primo presidente, Houphouët-Boigny, rimasto in carica per oltre trent’anni. Poi, la caduta dei prezzi delle esportazioni, la svalutazione e la morte, nel ’93, del presidente, hanno aperto un periodo di crisi e instabilità. È stato introdotto il multipartitismo e ci sono stati diversi tentativi di colpi di stato (di cui uno riuscito). Nel 2000 si è arrivati all’elezione (contestata) di Laurent Gbagbo. Nel settembre 2002 è scoppiata una rivolta che, dopo un fallito tentativo di golpe, ha diviso il paese in due: il Nord coi ribelli (poi chiamati Forces Nouvelles) e il Sud con Gbagbo. Una situazione di stallo mantenuta dalla forza Lycorne (francese) e poi dai caschi blu dell’Onu. Nel 2005, non essendoci le condizioni per andare alle elezioni, Gbagbo è stato riconfermato dall’Onu per un secondo mandato. Nel tempo, sono stati proposti vari accordi di pace, tutti falliti, fino a quello di Ouagadougou (2007), dove il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, ha potuto mediare e avviare il paese alle elezioni. Secondo gli accordi, Gbabgbo era ancora presidente, ma il suo primo ministro sarebbe stato il capo delle Forces Nouvelles: Guillaume Soro.

 

L’accordo prevedeva delle tappe per disarmare i ribelli, inserirli nell’esercito regolare o in attività lavorative, il censimento della popolazione ivoriana, la ricostituzione delle liste elettorali e nuove elezioni. Un processo molto lungo e complesso, che ha infine portato alle elezioni del 31 ottobre. Adesso, per evitare nuovi bagni di sangue, l’unica strada potrebbe essere quella di una nuova mediazione, da parte delle forze internazionali. L’ex primo ministro Soro ha già chiesto l’intervento della Corte penale internazionale, mentre a Ginevra si è aperta una sessione speciale del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, che si è detto «profondamente preoccupato per le atrocità e le violazioni dei diritti dell’uomo commesse in Costa d’Avorio all’indomani del secondo turno delle elezioni presidenziali». E chiede ora con forza il pieno rispetto della volontà popolare e il ritorno alla democrazia.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons