Il fascino di Valerij Gergiev

Il direttore russo porta a Roma, all'Accademia Santa Cecilia, l'orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo che dirige da lungo tempo. Sintonia perfetta tra la mano ferrea e dolce di Gergiev e i musicisti
Il direttore d'orchestra russo Velerij Gergiev

Lo sguardo intenso, l’incedere felino e la gestualità – senza bacchetta – flessuosa ed energica. Passione russa, fascino slavo. Valerij Gergiev porta a Roma, all’Accademia Santa Cecilia, la sua orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo che dirige da quando aveva trentacinque anni e che porta in giro per il mondo, periodicamente. L’orchestra ha un suono bellissimo: gli archi cantano e vibrano come sete, specie quelli gravi, i legni sono dolci, e gli ottoni un sole.

La massa è disciplinata, attenta, morbida come un mare. Gergiev non fa alcuna fatica, perché il rapporto fra lui e l’orchestra è di lunga e perfetta sintonia.

Si parte con la sinfonia dalla Forza del destino di Verdi, data a San Pietroburgo nel 1862 e quanto detto prima sull’orchestra trova una puntuale corrispondenza. Da Verdi al preludio del primo atto del Lohengrin di Wagner: i violini sono raggi di luce, e non è retorica.

Il fatto è che questa orchestra e questo direttore hanno il fascino che deriva non solo dalla lunga comunanza di far musica insieme, ma dal rimanere dentro all’incanto che è la musica stessa: il che per un complesso di lungo corso è una autentica rivoluzione.

Tocca poi a Ciaikowski e alle sue Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra. Solista è il giovane russo Alexander Buzlov, ormai una star mondiale. Se lo merita: la “cavata” è morbida e forte, la tecnica infallibile e le sette “variazioni” si snodano nella loro fantasia coloristica con una elasticità perfetta. Poesia e languore, sentimento e nostalgia, voglia di sperimentare e amore per  la classicità: c’è tutto Ciaikovski qui dentro e Buzlov lo intuisce, e prova ad entrare in quel suo mondo fatato e fragile.

Ci riesce perché Gergiev accompagna con delicatezza e lui si slancia così nella musica come un canto solitario in una foresta di suoni.

Non si poteva chiudere infine che con la monumentale Ottava Sinfonia di Sostakovic e qui Gergiev e l’orchestra sono un finimondo di suoni, di dilatazioni squarcianti, di sospensioni: ogni sezione del complesso russo è messa a prova dal virtuosismo richiesto dal compositore, ma la mano ferrea e dolce di Gergiev ottiene di far entrare il pubblico entusiasta in quest’universo novecentesco.

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