Il fascino di Rusalka
Dimenticata l’Aida che doveva esser diretta da Riccardo Muti, il romano Teatro dell’Opera – un poco riappacificato all’interno – per l'inaugurazione della nuova stagione 2014-2015 si è rivolto alla Rusalka di Antonin Dvorak (Praga, 31 marzo 1901), una fiaba lirica in tre atti tratta dalla mitologia slava, da La Sirenetta di Andersen, dall’Undine di de la Motte Fouquè: insomma l’amore di fine Ottocento per le creature femminee acquatiche – nel caso – o silvestri che desiderano diventare della forma umana salvo poi trovare il lato tragico dell’amore. La favola è crudele perché finisce con la morte dell’innamorato come tanti miti antichi e si inserisce perfettamente nel cima simbolista-sensuale dell’epoca che tanta parte ha nella letteratura, nella pittura e nella musica.
L’allestimento davvero minimale di Denis Krief privilegia appunto il lato simbolico dell’opera, puntando all’estrema sobrietà di pareti, letti, vetri in un gusto minimale che riesce a fare apprezzare l’onda affettuosamente calda della musica, un poema sinfonico per voci e orchestra più che una classica opera.
La stringatezza delle presenze sul palco, l’arredamento essenziale, la recitazione appassionata ma non invadente accompagnano il dipanarsi di melodie sinuosamente belle, il canto alto e dolente di Rusalka, dentro una melodia che giganteggia dall’inizio alla fine tra ricordi di Ciakovski e Wagner indubitabili, ma che non nascondono la qualità dell’ispirazione di Dvorak, attenta alle pulsazioni e ai colori orchestrali e al timbro nobilmente popolare di certi momenti. Insomma, di musica davvero bella ce n’è parecchia.
Il cast vede Svetla Vassileva come Rusalka molto a suo agio nella parte dell’adolescente che vuole scoprire l’amore umano e prevede ampi fiati e acuti spendenti, il principe che dovrà sperimentare il binomio fatale amore-morte è invece Maksim Aksenev, bella voce, fresca presenza.
Interessante il momento coreutico e molto bella la prova del coro; nell’orchestra brilla il primo clarinetto, mentre i violini appaiono fin troppo leggeri di suono.
Dirige il giovane Eivind Gullberg Jensen sul podio la prima volta al Costanzi: preparato, per nulla divo, attento, esperto nel repertorio slavo, e non solo.
Spettacolo bello, essenziale e musica che si vorrebbe ascoltare più spesso. Repliche fino a domenica 14.