Il duro e sgradevole ritorno a casa di Pinter

Testo tra i meno frequentati di Harold Pinter, la piece scritta nel '65, parla, attraverso personaggi sgradevoli, duri e crudeli, dello scontro uomo-donna in un rapporto fatto di vittime e dominatori, mentre la totale carenza d'amore domina la scena
Il ritorno a casa - Foto Pino Le Pera

 

Testo tra i meno frequentati di Harold Pinter, Il ritorno a casa scritto nel '65, parla, attraverso personaggi sgradevoli, duri e crudeli, dello scontro uomo-donna e della totale carenza d'amore. E dice, più di altre pièce, quel "precipizio che sta sotto i discorsi di ogni giorno" (con questa motivazione venne assegnato il premio Nobel al drammaturgo inglese). Sarà  la donna, con ruolo di cognata e nuora degli uomini di casa, a essere, prima la vittima predestinata, poi, man mano mutare ruolo per rivelarsi, infine, la vera dominatrice che li asservirà a sé.

Tutto si consuma nella bella scenografia di un ampio soggiorno "english" con una scala che porta al pianerottolo superiore, e dall’altro lato con l'esterno della casa. La vicenda vede un nucleo familiare tutto maschile rimasto orfano di donne dopo la scomparsa della madre. Tutto ha inizio quando Teddy, il primogenito dei tre fratelli, docente di filosofia, dopo anni di assenza fa ritorno alla casa paterna per una visita portando con sé la moglie Ruth sposata all'insaputa dei familiari poco prima di lasciare Londra e trasferirsi in America. Il ceppo originario in cui rientra non ha nulla a che spartire con la sua indole gentile e educata. Il padre è un ex macellaio. Un fratello, Lenny, si occupa di affari poco raccomandabili; un altro si divide tra demolizioni e palestra di boxe e lo zio è impiegato come autista.

Una comunità tutta al maschile dove l'arrivo della donna rappresenta l'elemento perturbatore. Figli e padre cominciano a corteggiarla, senza trovare resistenza e senza che il marito si lasci sconcertare più di tanto. Deliberatamente fraintesa e usata dalla famiglia, Ruth si ritroverà a soddisfare gli umori più egoisti e insensibili di questi "orchi", accettando il ruolo di consolatrice, madre e amante, fino ad abbandonare marito e figli (rimasti oltreoceano) per collettivizzarsi per la nuova "famiglia" e poi prostituirsi esigendo tanto di contratto, ma dettando le sue condizioni di donna libera, che dominerà, infine, quel branco di esseri umani ridotti a bestie.

Storia scandalosa (che fece scalpore al debutto), ambiguamente edipica denuncia polemicamente la mercificazione della donna nella società borghese e l'ipocrisia che vi sottostà. In questa vicenda di perversione con personaggi tanto inafferrabili quanto inquietanti, colti sotto un fuoco incrociato di riemersioni e rimozioni ora violente, ora grottesche, ora sordide, ora tenere, il regista Peter Stein, alla sua prima messinscena di un testo pinteriano, ha lavorato di cesello.

Sul linguaggio sferzante, sulla drammatizzazione dei silenzi, sul pieno delle pause, sulle battute di prorompente e allarmante humour per le strambe uscite dei personaggi, sulla fisicità e il realismo degli attori, che vanno tutti menzionati: Paolo Graziosi, il padre; Alessandro Averone, Rosario Lisma, Andrea Nicolini, i fratelli; Elia Schilton lo zio e Arianna Scommegna, la donna.

"Il ritorno a casa" di Harold Pinter, regia Peter Stein, Al Piccolo di Milano, Teatro Strehler, fino all’1 dicembre. In tournèe a Lucca, Teatro del Giglio, dal 6 all’8/12; Siena, Teatro dei Rinnovati, dal 10 al 12; Massa, Teatro Guglielmi, dal 13 al 15.

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