Il dramma silenzioso dei marinai rapiti

Da otto mesi marittimi italiani e stranieri sono tenuti in ostaggio dai pirati.I timori e la solitudine delle famiglie
Il comitato Liberi tutti
L’8 febbraio 2011 la petroliera “Savina Caylyn” della Compagnia di Navigazione, che fa capo all’armatore napoletano D’Amato, con il suo equipaggio (5 italiani e 17 indiani) cade nelle mani di pirati somali.

 

Dopo quasi 8 mesi niente è cambiato. La nave è ferma nell’Oceano Indiano, al largo della costa somala. I sequestrati sono incatenati e costretti a stare immobili in uno spazio esiguo, come si vede dalle drammatiche foto, che in questi ultimi tempi i pirati inviano via Internet alla famiglia del comandante Giuseppe Lubrano Lavadera di Procida, come il primo ufficiale Crescenzo Guardascione. Essi attivano i collegamenti telematici perché il comandante Lubrano Lavadera mostri e racconti in quale terribile stato fisico e psichico si trovi al pari degli altri ostaggi e solleciti il pagamento del riscatto, 60 milioni di dollari.

 

Giovedì 15 settembre 2011, ancora un collegamento. Ancora un SOS. Il comandante Lubrano Lavadera è stato messo in contatto con la moglie Nunzia e ha disperatamente chiesto che si faccia di tutto per liberarli e liberarli presto. Sono allo stremo, prostrati dalle malattie e dalle privazioni. «Qualcuno di noi, se pure ci libereranno, non tornerà», ha concluso. «Fate presto».

 

I pirati li tengono a bordo della Caylyn relegati in uno spazio angusto, sotto la minaccia delle armi, condannati a sopravvivere solo con quanto c’era sulla nave al momento del sequestro, le poche provviste che erano in cambusa. ll carburante é già da tempo esaurito. La nave senza carburante non è governabile. Va alla deriva e si sposta lentamente verso la scogliera, dove si schianterà e affonderà con gli ostaggi a bordo. Le provviste sono quasi terminate, meno di un pugno di riso al giorno e per bere qualche goccia d’acqua. Neppure un posto dove urinare e defecare. Le condizioni di salute si fanno sempre più precarie.

 

Nell’isola Procida, si è costituito il comitato Liberi subito che sta tentando ogni possibile via. Ha contattato il presidente della Repubblica, il Papa, il cardinale Sepe, i parlamentari, il ministro degli esteri Frattini e il ministro della difesa La Russa. Questa la laconica risposta: «Lo Stato italiano, è stato risposto dal Ministro degli Esteri, non può intervenire per quanto riguarda il riscatto». E’ stata mandata in perlustrazione la nave “Andrea Doria”, che tuttavia non può accostarsi alla Savina Caylyn per motivi diplomatici. In quell’inferno del Corno d’Africa il Governo federale di transizione somala non consente nessun intervento umanitario. L’armatore D’Amato, cui dovrebbe toccare il pagamento del riscatto e al quale converrebbe non perdere la petroliera, che pur ha un cospicuo valore economico, ha messo a disposizione solo una somma irrisoria a fronte di quella richiesta. Questa la situazione, che va degenerando di giorno in giorno. Il Papa è stato l’unico che in una domenica di agosto ha rivolto un appello accorato perché questi marittimi fossero liberati. Lo stesso appello è stato lanciato dai giovani riuniti a Madrid per la GMG.

 

Eppure il fenomeno non è nuovo nella storia italiana e si è verificato molte nei secoli addietro , particolarmente con gli assalti dei Turchi, tra i quali quello del feroce Kaireddin, il Barbarossa dei mari, e i signori del tempo (gli Aragonesi e i D’Avalos) si attivavano per la liberazione degli ostaggi.

 

Ora chi sono i Signori del nostro tempo? Perché finora hanno ignorato questa tragedia, che solo la rivoluzione disperata dei procidani sta portando alla luce? E’ quanto si chiedono le famiglie dei sequestrati, stanche che i loro appelli finora siano stati ignorati nei palazzi che contano, ai quali hanno bussato e bussano senza sosta. Si chiedono perché, quando in Iraq o Afghanistan o altrove avvengono sequestri di militari, giornalisti o volontari dei soccorsi umanitari, la stampa e le Tv si attivano, informano l’opinione pubblica con un bombardamento mediatico e specifici servizi radiotelevisivi. Perché non così in un caso tanto disperato ?

 

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata nel 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite e che il prossimo 10 dicembre celebrerà un altro suo anniversario, non prevede i diritti di chi solca i mari affrontando pericoli di ogni genere, e neppure li prevede alcuna altra istituzione internazionale, compresa l’O.N.U. e la NATO.

Di qui l’appello rivolto anche alla L.I.D.U., Lega Italiana Diritti Umani, che è la Sezione Italiana della Fèdèration Internationale des Ligues dei Droits de l’Homme, perché intervenga per la liberazione degli ostaggi e soprattutto promuova l’aggiornamento della Carta dei Diritti dell’Uomo con uno o più articoli dedicati ai marittimi.

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