Il dramma dei pastori sardi

«Le violenze ci sono estranee» dichiarano i manifestanti. Fotografia della crisi di uno dei settori cardine dell’isola.
Pastori sardi

Esasperazione e rabbia, sono i sentimenti di chi lavora in migliaia di aziende che nella pastorizia hanno investito tutto. Parlare di pastori, in Sardegna significa parlare della millenaria storia di un’isola che ha l’allevamento nel suo dna. I dati parlano chiaro: il 60 per cento del patrimonio ovi-caprino italiano è in Sardegna e la crisi rischia di veder sparire un settore, che rappresenta per l’isola una delle attività strategiche per l’economia.

 

Le scene di ieri, documentate dalle immagini televisive e dagli scatti dei fotoreporter (uno è finito in ospedale per il lancio di un lacrimogeno), hanno rivelato nella drammaticità più autentica i sentimenti dei pastori: la rabbia di veder il loro lavoro non riconosciuto e non adeguatamente ricompensato. Un litro di latte viene pagato dalle industrie agroalimentari 60 centesimi di euro, mentre occorrerebbe almeno un euro per pareggiare le spese; e la carne di agnello e pecora deve subire la concorrenza sleale di altre aree dell’Unione europea. Spesso vengono importati in Sardegna animali da altri Paesi e spacciati per sardi sui banchi dei supermercati, una consuetudine che esaspera chi quotidianamente lavora per offrire i migliori prodotti locali.

 

Le organizzazioni di categoria sono poi divise: Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri ecc. da un lato, dall’altra il movimento pastori sardi che reputa troppo conniventi le organizzazioni con la politica. Il problema è che al momento gli unici a guadagnare sono gli industriali (tra l’altro l’attuale assessore all’Agricoltura è un industriale del latte, come quello della precedente giunta di centrosinistra) mentre i pastori, stanno perdendo.

 

Sulla piega violenta della manifestazione nel tardo pomeriggio di ieri i pastori si sono dissociati. «Noi ha detto Felice Floris, il leader del movimento che ha occupato un aula del palazzo del Consiglio regionale – non siamo violenti. Non lo siamo mai stati e di certo chi ha provocato la reazione della polizia non era dei nostri». Una tesi sposata anche dal prefetto di Cagliari che, dopo la guerriglia di ieri, ha parlato senza mezzi termini di possibili infiltrazioni di facinorosi tra i dimostranti. La conferma anche da alcuni cronisti sul posto, che hanno riconosciuto qualche esponente dell’estremismo violento, mentre rovesciava i cassonetti della spazzatura per raccogliere bottiglie e quant’altro da lanciare agli agenti in tenuta antisommossa.Il bilancio degli scontri è noto, con qualche decina di feriti (uno ha perso un occhio), cinque pastori fermati, due denunciati a piede libero e tre arrestati, con l’accusa di violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

 

Nel pomeriggio è previsto un vertice al ministero, anche se nei giorni scorsi il ministro Galan si è detto preoccupato per la mancanza di risorse per il comparto. Al tavolo di certo ci sarà la Coldiretti. «I pastori – ha detto Sergio Marini, il loro presidente attendono dalle istituzioni regionali e nazionali fatti concreti con impegni precisi per salvare i 70mila allevamenti italiani, dopo gli esiti degli ultimi incontri. Occorre condannare le violenze e isolare i provocatori che, così facendo, stanno gravemente danneggiando la lotta della stragrande maggioranza dei pastori, che in questi mesi si sono, in maniera determinata, ma pacificamente, mobilitati per garantire un futuro ai propri allevamenti senza i quali la Sardegna muore».La Regione dal canto suo ha previsto un intervento, mettendo a disposizione i fondi de minimis per 15mila euro annui per tre anni alle aziende in crisi: un provvedimento che può nell’immediato aiutare chi sta per affogare. È però necessario che governo ed Unione europea trovino soluzioni di più ampio respiro, prima che la nave coli a picco.

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