Il dramma degli eritrei

Centinaia di immigrati finiti nella mani di criminali che li ricattano e li uccidono.
Eritrei

Fino a 15 mila dollari di riscatto. Tanto vale la pelle di un eritreo sequestrato da una banda di criminali nel deserto del Sinai, ai confini tra Israele ed Egitto. La notizia è venuta alla ribalta a fine novembre perché per la prima volta un gruppo di 80 eritrei in fuga dalla Libia verso Israele è stato catturato non da una banda di predoni allo sbando, ma da una vera e propria organizzazione di trafficanti di schiavi. Gli 80 profughi sono fuggiti dalla Libia dopo essere stati respinti dall’Italia. Diretti verso Israele per tentare una via di fuga in Turchia e in Europa, hanno scoperto di non essere i soli.

Ammassati come schiavi, in catene, con una pagnotta ogni tre giorni, acqua salata e urine da bere, hanno trovato altri connazionali, si parla di 250 e, in totale, si stima fino a 1500 persone in mano ai trafficanti provenienti dal Corno d’Africa, Sudan e altri Paesi africani. Otto di loro sono stati barbaramente uccisi.

I mediatori dei trafficanti ricevono telefonate dai parenti sparsi nel ricco Occidente, dall’Europa agli Stati Uniti, fino all’Arabia Saudita per chiedere un riscatto. Prezzo medio otto mila dollari, ma ad un eritreo, residente in Arabia Saudita, che ha il fratello in mano ai sequestratori, è stato chiesto il doppio. Il gruppo è stato diviso tra chi può pagare e chi no. E questi ultimi, un centinaio, destinati al mercato dei trapianti d’organi, sono stati trasferiti in una località sconosciuta e sono stati persi i contatti telefonici.

 

Don Mosè Zerai, un sacerdote eritreo, presidente dell’Agenzia Habeshia, ha fornito nomi dei responsabili e coordinate del luogo alle autorità egiziane che, dal canto loro, arrivano anche a negare l’esistenza del campo di prigionieri. La notizia è cominciata a trapelare sulla stampa italiana, ma il Parlamento europeo sembra ignorarla e, mentre scriviamo, ancora non si è pronunciato.

«Possiamo non pensare – scrive Marina Corradi su Avvenire – a quei prigionieri scacciati e braccati. A quelle donne, tra loro, con un bambino nel ventre. Che aspetta di nascere, ultimo degli ultimi; come quell’altro, ricordate, che nacque, quasi da quelle stesse parti, due millenni fa, a Natale». Occorre l’intervento degli Stati, soprattutto l’Egitto, che non ha nessun controllo sul territorio. I capi stessi dell’organizzazione criminale sono egiziani, anche se usano, per copertura, i nomi dei beduini. E occorre sensibilizzare le opinioni pubbliche «attraverso appelli, campagne – dice Vincenzo Buonuomo, ordinario di diritto e organizzazione internazionale alla Pontificia università lateranense – per produrre dei cambiamenti e incidere sui modi di pensare e di agire».

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