Il dolore innocente
Già noto teologo-fìlosofo, studioso di Hegel e del cristianesimo, Vito Mancuso ha scritto un’opera per cui gli dovranno gratitudine, tra i suoi lettori intelligenti, sia credenti che no, e chi non sa ed è in ricerca. Il dolore innocente, che dispiega il suo titolo in ampiezza crescente fin nelle ultime pagine, è in assunto una riflessione sull’irriducibile scandalo dell’handicap e del dolore imposto dalla natura, ma “ultimamente”, scrive l’autore, su Dio stesso. Con raro equilibrio e sicura competenza culturale, il libro “nato dalla sofferenza” vissuta in famiglia dall’autore, e inteso “a servire la sofferenza “, si allarga da subito a cercare di comprendere perché ogni anno nascano tre milioni di bambini con handicap, in un mondo che conta 500 milioni di “disabili”; il perché ultimo: da chi o cosa, per chi o per quale fine. Mancuso non teme le domande laceranti, piuttosto le risposte illusorie, anche quelle religiose, teologiche, e allo stesso modo quelle nate dall’uso ideologico della scienza. E subito avverte che è solo l’amore dei genitori, in tempi ultra-abortisti, ad accettare l’handicap del figlio. Ma la problematica è vasta e non riducibile alla casistica, e l’autore la affronta nel riconoscimento e nel rispetto della vita che precede e supera ogni teorizzazione o teorema di giustificazione o di condanna. E ciò lo costringe (è il suo stesso coraggio a costringerlo) a discutere – oltre a tutta la grande tradizione filosofica e religiosa orientale e occidentale nelle sue varie e divergenti scuole e fedi -, lui cristiano, il patrimonio cristiano stesso e in particolare cattolico, attingendone l’inesauribile tesoro ma anche evidenziandone debolezze concettuali, ritardi culturali e insostenibili, ormai, posizioni filosofico- teologiche. Un grande merito del libro è distendere molte pagine, ricche e chiarissime, nella disamina culturale e religiosa del dolore naturale innocente qui non riassumibili, facendola ruotare intorno alle domande di sempre: Dio vuole il dolore naturale (per punire, o insegnare, o salvare)? Non lo vuole ma lo permette (dottrina delle cause seconde)? Non può eliminarlo (dottrina del dualismo gnostico)? O bisogna semplicemente arrendersi all’onnipotenza- imperscrutabilità? Nessuna delle classiche domande e risposte soddisfa il cuore dell’uomo davanti al dramma che affronta, e, aggiunge Mancuso, poiché il dolore naturale innocente coinvolge in vario modo tutta la condizione umana, al dramma “che egli stesso è”. Non c’è luce intellettuale, risposta erudita o ipotesi teologica o scientifica, capace di tacitare la coscienza desolata o ribelle. La sola luce, oscurissima come dev’essere sempre la fede non accomodata, è quella di Cristo che “non salva attraverso il suo insegnamento, ma attraverso la sua morte in croce “: quella che fece dire a Mounier, della sua bambina inerte per encefalite: “questa bianca piccola ostia che ci supera tutti, in un’infinità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia”. “Chi soffre – commenta Mancuso -, soprattutto se non merita di soffrire, è unito a Dio come nessun altro, perché Dio ha rivelato sommamente sé stesso nella croce di Cristo, cioè, per l’appunto, nel vertice della sofferenza innocente. Questo dice il cristianesimo “. Ma c’è di più: la croce è all’origine e alla fine del mondo come suo alfa e omega, e non solo al suo centro. Le bellissime pagine mediane e ultime demoliscono, scandalizzando antiche e fragili certezze, l’ingenua e insufficiente visione di Dio decisionista-interventista nella natura e nella storia: al contrario, la creazione è la reale posta in gioco della libertà nella materia e nello spirito stesso (angeli, uomini) al prezzo dell’intero amore di Dio, da cui essa ha origine; ciò significa che in essa, letteralmente lasciata libera da Dio, le cose vanno bene e male, fioriscono e falliscono, inevitabilmente mescolando e alternando vita e morte, salute e malattia, affinché il dono dell’essere sia reale, “perduto” da parte di Dio; e ciò accade dal Big Bang alla croce del Figlio e oltre, con la stessa logica di “far essere” le cose e le anime in pienezza di autonomia – perché solo dalla libertà, può nascere l’amore in risposta all’Amore – pagata da Dio stesso già all’inizio nell'”Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo” (Apocalisse 13,8). Solo questa è la profondità necessaria- sufficiente a collocare nel mistero un “problema” la cui pretesa soluzione, in ogni altra prospettiva, resterebbe stonata chiacchiera. Se Dio mette in croce sé stesso fin dall’inizio pagando lui per primo “il prezzo di sangue che la nascita della libertà richiede “, si può intuire (ed è molto più che capire) che “i bambini che nascono handicappati sono la suprema immagine dell’Agnello immolato dalla creazione del mondo”. Ma resta inteso con il lettore di questa recensione che ho potuto dire poco e non adeguatamente di un libro prezioso, culturalmente importante, spiritualmente fecondo di una speranza autentica, senza illusione e senza materiale consolazione.