Il divorzio tra Gheddafi e l’Eni

Il primo ministro ha annunciato la chiusura dei contratti tra la società italiana e la Libia. Finisce così un rapporto storico, che va oltre gas e petrolio
Gheddafi Libia

Nei giorni scorsi il primo ministro libico del governo di Gheddafi ha annunciato che «con l’Eni è finita davvero»: non ci saranno più contratti petroliferi tra Libia e la società italiana, che ha investimenti per 30 miliardi di dollari nel Paese. Per contro il primo ministro è rimasto più flessibile ed aperto con Francia e Stati Uniti, mostrandosi pronto a tendere loro la mano se cambieranno atteggiamento.

 

L’Italia è storicamente il primo partner dei Paesi africani produttori di petrolio per merito di Enrico Mattei, il primo presidente dell’Eni. Dopo la seconda guerra mondiale aveva voluto per primo, in aperto contrasto con le multinazionali del petrolio, trattare alla pari con i Paesi produttori, offrendo loro sia di dividere equamente i profitti che di costruire in loco impianti industriali in grado di raffinare i prodotti necessari alle popolazioni: paradossalmente, infatti, questi Stati erano costretti ad importare benzina e gasolio.

 

Pur considerando il comportamento disumano di Gheddafi verso le popolazioni insorte, a mio parere noi italiani non stiamo facendo una bella figura col bombardare, a soli tre anni dal trattato di mutua non aggressione, città costruite secondo il nostro stile e terre colme di vestigia di un passato comune. L’imperatore Settimio Severo era di Leptis Magna, la città sulla costa libica; Sobratha è tra le città romane meglio conservate, proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità; nel centro di Tripoli sorge un bellissimo arco di trionfo romano del II secolo, e il museo della città è ricco di bellissime statue e monete di quell’epoca. Per di più, malgrado le antiche ferite inferte durante la nostra conquista colonialista, i libici hanno molta simpatia per noi, e gli anziani addirittura nostalgia dei tempi della convivenza.

 

La Francia e l’Inghilterra hanno scatenato la guerra con un sostegno americano non troppo convinto, mentre la Germania si è astenuta. L’Italia, dopo l’astensione per il timore di perdere i privilegi ereditati da Mattei, si è accodata con mille distinguo ai Paesi belligeranti, comportandosi come quegli automobilisti che quando sono in coda sono sempre in dubbio sulla corsia in cui inserirsi e alla fine si accorgono che quella scelta non è la migliore.

 

Sulle orme di Mattei l’Eni ha continuato ad investire in Libia con successo, trovando ottimo petrolio ed importandone buona parte in Italia – tanto che con la guerra le raffinerie italiane hanno dovuto trovare di corsa fonti alternative. Ha trovato anche gas naturale, che inizialmente trasportava in Italia liquefatto su navi metaniere fino a La Spezia per gassificarlo e metterlo in rete, e negli ultimi anni costruendo gasdotti attraverso il canale di Sicilia. Troncare i rapporti tra Paesi dirimpettai con forte interscambio commerciale è penalizzante per entrambi; inoltre, se il traffico navale può scegliere altre mete, i gasdotti possono essere utilizzati solo a vantaggio reciproco.

 

Affermare che il governo libico non collaborerà più con la società di Stato del Paese storicamente più vicino ed amico non mi sembra una gran mossa diplomatica per un governo che sta trattando come sopravvivere: semmai questa noncuranza nel farsi nemica l’Italia, pur di blandire prospettando futuri vantaggi commerciali Paesi considerati più forti, la dice lunga sulla considerazione che in questo periodo come Paese ci stiamo meritando.

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