Il divorzio breve è legge. Cosa cambia?
Il 22 aprile scorso è divenuto legge il divorzio breve. Il nuovo istituto prevede che i coniugi possano ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o lo scioglimento del matrimonio civile decorsi sei mesi dalla separazione consensuale ovvero un anno da quello giudiziale.
In concreto l’unica novità rilevante introdotta dalla normativa è l’abbreviazione del termine che deve intercorrere tra separazione e divorzio e l’anticipazione del momento da cui far decorrere questo termine. Prima dell’entrata in vigore della normativa sul divorzio breve il termine era tre anni, adesso con la nuova legge il termine è di sei mesi in caso di separazione consensuale, con decorrenza dal deposito del ricorso congiunto e un anno in caso di separazione giudiziale con decorrenza dalla notifica del ricorso all’altro coniuge. Ne consegue che i coniugi per ottenere il divorzio dovranno sempre prima ottenere la separazione; ciò che cambia è il termine di attesa tra la domanda di separazione è quella di divorzio che viene sensibilmente ridotto.
Per il resto la normativa in materia di divorzio rimane completamente invariata.
La legge sul divorzio breve è stata salutata da alcuni come “una rivoluzione”, portatrice di “una nuova era” e come una riforma che ci mette al passo con gli altri Paesi europei. In realtà la riforma desta non poche perplessità di ordine giuridico, sociale e psicologico.
In primo luogo l’abbreviazione a un anno o addirittura, per la separazione consensuale, a sei mesi dello spazio temporale che dovrà intercorrere tra la separazione e il divorzio riduce drasticamente il tempo di ripensamento finalizzato a favorire la possibilità di una riconciliazione della coppia. La normativa non prevede eccezioni in presenza di coppie con figli minori per cui il brevissimo “termine di riflessione” opera anche in casi che richiederebbero uno spatium deliberandi più lungo da parte dei coniugi per valutare le conseguenze delle loro scelte.
È chiaro che una delle esigenze alla base di questo intervento normativo è alleggerire il carico di lavoro dei magistrati, attraverso la riduzione dei tempi delle cause di divorzio. Tuttavia, come rilevato da alcuni, non sembra sufficiente accelerare i tempi delle procedure di divorzio per ridurre il carico dei tribunali, ma è necessario incidere anche sulla conflittualità tra i coniugi.
In tal senso sarebbe stato più opportuno investire su forme di conciliazione e mediazione in grado di aiutare i coniugi ad affrontare tale momento così delicato della loro esistenza in maniera più equilibrata e meno conflittuale. È proprio l’eccessiva conflittualità dei coniugi, che, difatti, comporta e continuerà a comportare, in realtà, la dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi di separazione e divorzio.
Infine non si possono che condividere le considerazioni espresse da molti in questi giorni che evidenziano come il nostro Parlamento si stia dedicando con particolare zelo a produrre interventi che facilitano lo scioglimento del matrimonio riducendo separazione e divorzio a meri adempimenti burocratici, ma non altrettanta attenzione viene manifestata nel varare provvedimenti a favore di chi vuole costruire una famiglia.