Il disprezzo per la libertà religiosa
Il 4 novembre è stato presentato presso l’Associazione Stampa Estera di Roma il XII Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo curato dall’ Aiuto alla Chiesa che Soffre. I risultati del rapporto hanno avuto un’ampia visibilità sui media a dimostrazione che la questione della libertà religiosa rappresenta in questo momento un nodo importante all’interno della vasta rete dei rapporti internazionali e, in particolare della diplomazia.
L’argomento è stato parte dell’intervento inaugurale del mandato di Federica Mogherini come Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e lo stesso neo-ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, è già intervenuto sulla questione definendola come una delle priorità all’interno del suo mandato.
Tornando, comunque, al rapporto – si tratta di un volume corposo con una dettagliata documentazione che fotografa il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 paesi – il lavoro è stato redatto da giornalisti, esperti e studiosi, dopo un attento esame nel periodo tra l’ottobre 2012 e il giugno 2014. In generale, vale la pena notare che il dato che emerge con maggiore evidenza è come il rispetto della libertà religiosa nel mondo continui a rappresentare un’area critica.
Per passare a qualche dato che dia un’idea della criticità della questione, basta notare che dei 196 paesi analizzati, 116 (quasi il 60%) registrano un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa. Tra l’altro solo sei Paesi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – hanno mostrato un miglioramento della situazione, sebbene spesso se non quasi sempre grazie ad iniziative locali più che per scelte politiche o di respiro nazionale.
Dal rapporto emerge che, in generale, la violenza a sfondo religioso è legata ad una sensibile diminuzione della tolleranza e del pluralismo religioso, che, per esempio, sta portando alcune zone del Medio Oriente ad un nuovo fenomeno di stati mono-confessionali, in cui il gruppo religioso dominante cerca di prevaricare sulle minoranze, imponendo la sharia o approvando normative quali la legge anti-blasfemia. L’esempio più eclatante è legato alla recente affermazione dello Stato Islamico in Iraq. A fronte di questo, il costante aumento dei flussi migratori, provocati spesso proprio da violenze in questi Paesi, sta sempre più trasformando il mondo occidentale – in particolare l’Europa – da mono-confessionale (cristiana) a multireligiosa, con inevitabili tensioni e intemperanze e, spesso, anche violenze. È interessante notare come il rapporto metta in evidenza l’aumento dell’intolleranza religiosa e dell’ ”ateismo aggressivo” in Europa Occidentale. Proprio nel nostro continente stanno sempre più prendendo forma alcune fenomenologie che gettano un’ombra sul futuro, ma anche sul presente. Preoccupa e non poco il crescente analfabetismo religioso delle classi politiche occidentali, oltre al ripetersi di episodi anti-semiti.
Il rapporto è stato arricchito nel 2014 da un libretto di 32 pagine – un Focus sulla libertà religiosa – che, oltre ad una panoramica generale sui dati emersi dall’analisi, offre una interessante graduatoria che suddivide i paesi in quattro categorie in base al grado di violazione della libertà religiosa: È. La classifica è ovviamente indicativa, è stato fatto notare in sede di presentazione. Infatti, i fattori che condizionano la libertà religiosa sono altamente variabili e poco si prestano ad una valutazione oggettiva. L’indice è stato, quindi, steso prendendo in considerazione episodi di violenza a sfondo religioso e indicatori sociali quali il diritto alla conversione, a praticare la fede, a costruire luoghi di culto e a ricevere un’istruzione religiosa. È, tuttavia, interessante notare come in 14 dei 20 paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all’estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. A fronte di questi, ci sono sei nazioni – Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan – dove invece l'intolleranza è legata all’azione di regimi autoritari.
Un novità nel Rapporto appena pubblicato per l’anno in corso è uno studio specifico con relative analisi da parte di esperti a livello continentale. Si sono prese in considerazione varie aree: Africa, America del Nord, America Latina, Asia, Europa Occidentale, Medio Oriente, Russia e Asia Centrale. Tutti i dati possono essere consultati online.
Il rapporto offre, dunque, una panoramica ampia ed interessante con una documentazione accurata. Viene in evidenza come il cristianesimo sia a tutt’oggi la religione che soffre del più alto numero di discriminazioni e violazioni a livello di libertà di professione religiosa, anche per via del numero dei sui fedeli che per la diffusione mondiale. Su questo punto il Rapporto mi pare che tocchi un aspetto che richieda una maggiore condivisione con esperti di altre fedi e culture. Spesso, infatti, all’esterno dell’occidente e, in modo più specifico, del mondo cristiano, questi rapporti o studi vengono colti come unilaterali. Non pochi amici e colleghi di fede musulmana, per esempio, sono convinti e con ragioni supportate che siano i musulmani a soffrire di maggiore discriminazione. Spesso la stessa politica mediatica che demonizza l’Islam viene da loro percepita come una vera violazione di libertà di professione della loro fede nell’Islam. Forse, un rapporto prodotto da un gruppo di esperti di diverse religioni ed aree culturali potrebbe garantire un quadro più consono alla sensibilità di tutti.
È in questo senso che mi sembra si debba leggere la raccomandazione di Paul Bhatti, già ministro federale pachistano per l'Armonia nazionale e gli affari delle minoranze e fratello del compianto Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze ucciso nel 2011. «La libertà religiosa – scrive Bhatti nella Prefazione – è per sua stessa natura un diritto da garantire a chiunque e, considerata la situazione di moltissimi gruppi religiosi, il Rapporto ci obbliga a guardare con nuovi occhi a questo diritto fondamentale, che è condizione imprescindibile di ogni società libera e giusta».