Il diritto di essere sensibili

La nostra società rifugge il dolore e spesso dobbiamo giustificarci se appariamo sensibili. Invece, vivere pienamente la vita è meglio di trascorrerla nascondendosi dietro una maschera.
Foto di Victor UzihBen, licenza Pixabay.

Noi esseri umani siamo capaci di avere grandi desideri, possiamo immaginarli, sentirli dentro di noi, percepire l’energia che essi racchiudono. A questa immensa capacità di desiderare corrisponde un’altra faccia della medaglia, cioè il dolore che proviamo quando non abbiamo ciò che vorremmo, o quando accade qualcosa che non avremmo voluto accadesse nella nostra vita. Il dolore, la tristezza, la delusione fanno naturalmente parte dell’esistenza umana.

Eppure la nostra società non ci abitua ad avere una sana relazione col dolore, soprattutto con quello psicologico. Lasciar intravedere che qualcosa ci ha colpito, che siamo feriti, spaventati, stanchi, rischia così di apparirci come una sconfitta. Temiamo di rivelare agli altri la nostra fragilità, la viviamo quasi come una colpa.

Qualcuno arriva persino a scusarsi per il fatto di piangere. Qualcuno si affretta a giustificarsi: “Di solito non sono così, è che questo è un periodo molto difficile della mia vita”. Abbiamo imparato che una persona adulta ed equilibrata non piange, se non in situazioni estreme come lutti o gravi malattie. È questa la regola che abbiamo interiorizzato: piangere è una cosa da bambini. Così la tristezza viene considerata un bug, un errore del sistema, qualcosa da aggiustare subito.

Chiediamo a noi stessi di essere perfetti, felici, belli, di avere successo, di non fare errori, e così via. Vorremmo essere così bravi da tenere a bada le emozioni che non ci piacciono, di spegnerle come faremmo con un fuoco minaccioso che potrebbe trasformarsi in un incendio. Come afferma lo psicologo statunitense Hank Robb, spesso finiamo per credere che la forza emotiva coincida con l’essere così induriti nei confronti della vita da non farsi toccare da essa.

E invece la vera forza consiste nel prenderci cura di ciò che ci sta veramente a cuore, anche se per farlo dobbiamo attraversare una palude piena di emozioni difficili.

Cosa può aiutarci a coltivare questa forza emotiva? Come possiamo affrontare la tristezza, il dubbio, la paura quando arrivano nella nostra vita e sembrano mettersi in mezzo tra noi e i nostri desideri più profondi?

Cominciamo con il concedere a noi stessi di provare ciò che stiamo provando, così com’è. Spesso fuggire dalle emozioni negative coincide col fuggire dai noi stessi. Ci porta ad essere assenti e distratti, in una parola disconnessi dalla nostra vita.

Non facciamo della nostra sensibilità una colpa. Tante volte ho sentito dire: “Dottoressa, il mio problema è che sono troppo sensibile, e quindi continuo a soffrire”. È vero, chi rimane in contatto con la vita prima o poi verrà ferito, ma chi fugge dal dolore, difficilmente potrà vivere pienamente.

Diamo a noi stessi amore, comprensione e gentilezza. Dialoghiamo con la parte di noi che sta soffrendo, abbracciamola come faremmo con un cucciolo spaventato e triste che ha bisogno di tante cure e compassione. Possiamo fare questo attraverso gesti concreti, ma anche cercando di avere un dialogo interiore non giudicante.  Ciò che diciamo a noi stessi è molto importante e può fare la differenza.

Cerchiamo di notare se le nostre preoccupazioni o angosce sono legate a dei fatti reali o se sono piuttosto frutto del lavoro giudicante della mente. Forse stiamo chiedendo troppo a noi stessi, forse abbiamo l’aspettativa irrealistica di non dover commettere errori, o che le altre persone debbano essere esattamente come le vorremmo? Se è così, cerchiamo semplicemente di lasciar andare queste storie, non occorre lottare con esse, basta mollare la presa e non rimanervi attaccati.

Passiamo dalla logica del dovere a quella della scelta. Lasciamo che non siano delle regole rigide ad ispirare il nostro comportamento (devi avere successo, devi fare una bella vacanza, devi avere una bella macchina, altrimenti non dimostrerai di valere abbastanza). Non paragoniamoci agli altri.  Il confronto con gli altri spesso è fonte di insoddisfazione. Cerchiamo piuttosto di capire cosa è veramente importante per noi, senza dover necessariamente assecondare le aspettative e le pressioni della società in cui viviamo.

– Quando ci sentiamo insoddisfatti, non aspettiamo che le cose cambino da sé. Proviamo a chiederci: “Per ciò che dipende da me, cosa vorrei perseguire? Cosa potrebbe dare più pienezza, significato alla mia vita? Di cosa sono grato/a? Di chi voglio prendermi cura?”.

Il passo successivo è quello di scegliere delle azioni concrete che ci fanno muovere, anche di poco, in quella direzione. La cosa importante è cominciare subito e apprezzare ogni passo fatto, anche il più piccolo: “In che modo sono cresciuto, cambiato rispetto a ieri? Cosa sono riuscito a fare di nuovo? Se ho fallito cosa posso imparare da questa esperienza?”.

Il percorso di ciascuno di noi è unico e irripetibile, non ha alcun senso paragonarlo a quello di qualcun altro. Sarebbe un confronto inutile. Focalizziamoci piuttosto sulla direzione che desideriamo imprimere al nostro andare, sulla costanza, l’impegno e il coraggio che mettiamo nel progredire e nel rialzarci dopo ogni caduta.

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