Il diritto alle reti

“Comunicazione” è un termine che da sempre indica diverse cose, assai diverse: i rapporti interpersonali e i mass media, com’è ovvio, ma anche i trasporti e le altre reti che permettono la vita in società. Sono in continua evoluzione, parallelamente agli sviluppi tecnologici e alle esigenze nuove che ogni generazione porta con sé. Giusto per fare qualche esempio, pensiamo alla rete delle vie consolari romane, che aveva permesso non solo la pax romana, ma anche il bellum romanum, la guerra romana, e che consentiva il più rapido spostamento delle truppe attraverso l’impero, così come commerci più cospicui e rapidi. Aveva pure una dimensione più culturale: ad esempio, la rete viaria romana aveva permesso la rapida diffusione del cristianesimo, praticamente in tutte le regioni sotto dominio di Roma.
Facciamo un salto nel tempo e atterriamo nel Medioevo, quando la comunicazione di messaggi di diversa natura fu resa possibile, soprattutto nel vecchio continente, dal sistema postale basato sui cavalli, che trasportavano i preziosi carichi di parole e merci su vari supporti grazie alle stazioni di posta, dove gli equini stanchi potevano essere sostituiti da animali freschi.
Ancora, nei secoli IX-XII, in diverse regioni europee, pensiamo alla Toscana, si controllava il territorio con la rete dei castelli sui cocuzzoli delle montagne, in cui stazionavano truppe di pronto intervento. Ma c’era pure un’analoga rete di controllo culturale e religioso, di pievi e cappelle, piazzate sostanzialmente in punti strategici della regione interessata: da un campanile bisognava scorgere (e udire il suono delle campane) almeno un’altra torre campanaria per assicurare la cura delle anime e il trasferimento di messaggi. È per questo che oggi possiamo ammirare ancora fitte reti di deliziose pievi romaniche, pensiamo al Monferrato o al Valdarno.
Ancora una manciata di secoli, e pensiamo alla rete di telegrafi ottici messa in piedi nella prima metà del XIX secolo da sua maestà il re d’Inghilterra, la quale aveva permesso ad esempio il collegamento tra la madre patria e la Crimea dove imperversava la guerra, guarda caso tra russi e forze occidentali (la storia si ripete, eccome, oggi siamo quasi a Weimar): il 90% del traffico di messaggi era militare, mentre il restante dieci era destinato ai reporter che inviavano i loro articoli dal fronte, con una prontezza prima impensabile.
Oggi, sullo stesso territorio ucraino, funziona la rete di satelliti della Starlink, proprietà dell’onnipresente Elon Musk, che assicura i collegamenti digitali sia tra civili che tra militari in tutta l’Ucraina: si usano per il posizionamento dei droni ma anche per i rapporti telefonici tra i militari e le loro famiglie. La minaccia di spostare questi satelliti su altre aree, e quindi di privare di ogni comunicazione il territorio controllato da Kyiv è una spada di Damocle sulla testa degli ucraini, un ricatto bell’è buono. Questa è la grande minaccia denunciata da tanti pensatori e politici, tra cui il papa ed Edgar Morin, del “paradigma tecnocratico”, in cui il possesso della tecnologia e quindi della scienza si coniuga con la detenzione del potere economico e politico.
Le reti comunicative sono espressione del genio umano, che così permette di dare realizzazione alla natura sostanzialmente comunicativa dell’essere umano. Sono reti sostanzialmente foriere di uso positivo della comunicazione e dell’informazione, anche se poi vengono anche usate e spesso hanno pure la loro origine nell’ambito militare. Le reti possono essere, e lo sono, pensiamo al Deep Internet in cui prosperano le malavite d’ogni genere, dalla pedofilia al commercio di droghe e farmaci, allo sfruttamento di manodopera, un terribile strumento di morte; ma le stesse reti permettono la nascita stessa di legami altamente etici, pensiamo al collegamento tra ricercatori in ambito medico e scientifico, o a quello meteorologico. È imperativo categorico impedire che queste reti, beni comuni e relazionali dell’umanità, finiscano nelle mani di privati dalle dubbie intenzioni.
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