Il dilemma del bicchiere

Mezzo pieno o mezzo vuoto? Non è facile trarre un bilancio del Forum mondiale sulla sicurezza alimentare, accusato di mancanza di impegni concreti. Ci ha provato il direttore generale della Fao, Jacques Diouf.
vertice Fao

 

Si è chiuso il 18 novembre il Forum mondiale sulla sicurezza alimentare di Roma, dopo aver dato la parola ai rappresentanti di quasi tutti gli Stati del mondo – pur nell’assenza di molti “grandi” – e di organismi internazionali. Nell’ultima mattinata particolare attenzione è stata dedicata al Corno d’Africa – Etiopia, Somalia, Eritrea, Gibuti e Sudan del sud – che, pur ricevendo da anni il 20 per cento degli aiuti a livello mondiale, continua ad essere una delle zone del pianeta più afflitte dalla fame. Ai mutamenti climatici, che hanno determinato una diminuzione delle piogge e quindi dei raccolti – tanto che oggi le importazioni di cibo sono stimate attorno ai 5 miliardi di dollari – si è aggiunta la crisi economica, che ha avuto effetti devastanti in Paesi come la Somalia dove le rimesse degli emigranti costituiscono il 25 per cento del Pil. «Al momento – ha ricordato Ramiro Lopez da Silva, del Programma alimentare mondiale – ci sono 23 milioni di persone nel Corno d’Africa che hanno bisogno di assistenza, e solo per il sostegno alimentare mancano un miliardo di dollari». A questo si aggiunge la riluttanza nel finanziare questi programmi – per ora solo la metà hanno copertura economica – a causa dell’instabilità politica e della corruzione presenti in molti di questi Paesi. Come fare dunque perché i programmi di aiuto allo sviluppo vengano ritenuti affidabili? «Dimostrando che funzionano – ha risposto Laurent Thomas, direttore delle operazioni d’emergenza della Fao – come nel caso della Somalia, dove l’assistenza agli allevatori sotto il profilo veterinario e della certificazione delle carni sta dando loro accesso al mercato, e dell’Etiopia, che ha raggiunto i cosiddetti “obiettivi di Maputo” destinando il 10 per cento del budget statale all’agricoltura». Solo così si potrà ottenere «il necessario aumento degli investimenti – ha affermato Henri Josserand, capo del servizio informativo della Fao – e sono ottimista in proposito». «Se ciascuna del miliardo di persone che oggi navigherà in internet donasse un dollaro – ha ironizzato da Silva – avremmo trovato i soldi che mancano».

 

Il bicchiere del risultato finale di questo summit è quindi mezzo pieno o mezzo vuoto? Se l’è chiesto il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, nella conferenza stampa di chiusura. «Certo avrei sperato che tutti i 192 Paesi membri fossero qui – ha osservato – ma erano comunque presenti 180 ministri e 3646 delegati, che hanno raggiunto l’unanimità sul documento finale: dal mio punto di vista, questo è un buon risultato». Di fronte all’assenza di sette degli otto membri del G8, «dobbiamo tener presente che questo è un Forum promosso nell’ambito dell’Onu, in cui vige il principio “uno Stato, un voto”: non ci sono grandi e piccoli». La mancanza di risultati concreti nel documento finale non preoccupa il direttore generale: «Questo è un luogo per discutere, l’azione concreta spetta ai singoli governi. E, anche se non tanto quanto avrei sperato, la discussione è stata fruttuosa: basti pensare che l’impegno preso è stato di eliminare, non solo di dimezzare la fame nel mondo, come nei vertici precedenti. Inoltre questa è l’occasione per i governi di incontrarsi, ed arrivare ad accordi anche a livello bilaterale». Diouf ha espresso la sua gratitudine anche alle organizzazioni della società civile, il cui contributo è indispensabile perché «hanno il reale contatto con la realtà». Di qui la necessità di inserirle sempre di più nei processi decisionali che le riguardano, come esse stesse chiedono. In definitiva, «non siamo in una situazione senza speranza, e la fiducia che le cose possano migliorare c’è: nel 2009 è arrivato 1 miliardo di dollari di donazioni volontarie da parte degli Stati membri». Un indubbio segnale di fiducia nell’azione di questa organizzazione.

 

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