Il dies natalis di Chiara

Il ricordo nel sesto anniversario della morte di un amico della fondatrice dei Focolari. Le sue intuizioni hanno oggi un nuovo riscontro nella Chiesa di Francesco
Chiara Lubich

Oggi si celebra la memoria di Chiara. Sono passati sei anni: un tempo breve e allo stesso tempo lunghissimo. Io l’ho visitata al decimo piano del policlinico Gemelli, un mese prima della sua morte. In questo tempo la Chiesa è entrata in un altro orizzonte, quello di papa Francesco. Dove le grandi parole di Chiara hanno trovato come una nuova cittadinanza: la misericordia, l’unità, la fraternità. Parole che rinviano al cuore del Vangelo e che rinviano allo statuto più profondo della vita cristiana, e che le persone di buona volontà domandano per dare speranza alla loro esistenza, spesso contraddetta.

In Medio Oriente, dopo la guerra israelo-libanese, appariva possibile  intraprendere faticosamente un percorso di pace. Oggi c’è la tragedia siriana, dopo la guerra di Libia, ma in queste terre e in tutta la riva Sud del Mediterraneo  le figlie e i figli di Chiara sono instancabili seminatori di pace, di dialogo e incontro. Quasi una vocazione speciale per questa Terra Santa, perché percorsa da Gesù e perchè bagnata da uno scialo di sangue innocente.

Nella grande Asia  il seme del Vangelo sembra trovare nuovamente terra buona. Basti pensare alla signora Aung San Sou Ky, vero angelo della pace nell’intero continente. E il dialogo con la Cina diventa il passaggio più radicale del pontificato di Francesco, che ha scambiato lettere e parole di amicizia con il nuovo presidente cinese. Tappe nuove attendono il dialogo ecumenico, a partire dal prossimo viaggio di Francesco e Bartolomeo in Terra Santa, come memoria di quello che hanno fatto cinquanta anni fa Paolo VI e Athenagoras I.

Per questo Chiara ha dato la vita, dai giorni dei bombardamenti a Trento, fino alla morte, spendendosi senza risparmio,  perchè l’unità del Signore si compisse nella nostra povera storia .Certo molto c’è ancora da compiere, ma si ha l’impressione che una nuova stagione di grazia si stia aprendo, che riguarda non solo le Chiese cristiane ma anche le grandi religioni monoteiste. Davvero una nuova primavera dell’ecumenismo.

Mai come in questa ora sentiamo la forza del perdono, che deve stare al cuore del dialogo interreligioso, dove donne e uomini che vivono nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’Islam sappiano dire con verità l’unica parola che unisce e che ricostruisce un mondo, che sembra lacerarsi senza fine.

Se oggi Chiara vive l’alleluja della patria e i suoi figli e figlie vivono quello della strada, ciò che unisce è il canto di lode a Dio, che permette di vivere sulla frontiera dell’impossibile ,là dove Dio opera sempre, perchè niente è impossibile a Dio.

E su quella frontiera avvengono le parole di Chiara: l’unità, il perdono, la riconciliazione, il dialogo, l’incontro e diventano concretezza storica, possibilità di un mondo più giusto e più umano. E questo accadimento delle parole rinvia all’incontro con i poveri, con i feriti del mondo, con coloro che sono le piaghe e la carne di Cristo, per usare le parole di papa Francesco.

Li ha incontrati nei suoi instancabili viaggi in America latina, piuttosto che in Africa e la grande Asia, ma li ha riconosciuti  nel condividere con loro la sofferenza dei morenti, la sofferenza di Gesù “abbandonato”, come direbbe lei. Davvero Gesù, il povero dei poveri.

I prossimi mesi saranno il tempo delle decisioni, ma il seme gettato sei anni fa continua a produrre molto frutto, ben oltre i desideri e le attese di ciascuno.

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