Il diavolo e l’inconscio

“Da un po’ si parla con più insistenza di possessioni diaboliche, di sette sataniche, ecc. Sarei curioso di sapere come interpreta la psicologia, sul piano culturale, la realtà della possessione diabolica e del diavolo, o meglio come viene rappresentato il diavolo in psicologia”. Lettera firmata – Napoli Sì, sempre più frequentemente i mezzi di comunicazione informano, anche se spesso con scarsa proprietà critica o scientifica, di casi di presunta possessione demoniaca, di sette sataniche e di molteplici altri avvenimenti collegati ai demoni. Il lettore però, avanza una domanda esclusivamente “culturale”: come il diavolo viene interpretato in psicologia. La risposta non può che essere anch’essa sul piano “culturale”, seppure limitata all’ambito psicoanalitico; tenendo sempre conto che l’ultima parola su questi fenomeni espressamente religiosi spetta solo ed esclusivamente agli esorcisti. La mia risposta non contempla aspetti teologici, filosofici, antropologici, letterari, artistici, ecc., bensì solo psicoanalitici. In sintesi, per Freud la figura del diavolo rappresenterebbe a livello inconscio un sostituto della figura paterna (così come essa è vista ed elaborata fin dall’infanzia), che ha la funzione di una fantasia paranoica-persecutoria con scopi di liberazione da opprimenti sensi di colpa. Mentre per Jung il diavolo rappresenterebbe l’immagine archetipica dell’Ombra o meglio la personificazione dei nostri difetti inconsci. Ed è proprio su quest’ultima lunghezza d’onda di scuola junghiana che si colloca anche Freud quando asserisce che il diavolo sarebbe una metafora delle non edificanti pulsioni inconsce; per lui gli stati di possessione corrisponderebbero a delle nevrosi demoniache, nel senso che i demoni (freudianamente intesi) sarebbero desideri cattivi, ripudiati, derivanti da moti pulsionali (per lo più sessuali) che sono stati respinti e rimossi nel calderone dell’inconscio. Infatti l’accostamento più diffuso in campo psicologico è proprio quello di diavolo=inconscio, e non a caso l’impresa più geniale che Freud sostenne, e cioè l’analisi dei propri sogni, meglio conosciuta come “autoanalisi”, veniva da lui considerata come “una discesa agli inferi”; tant’è che il suo capolavoro scritto nel 1899 Interpretazione dei sogni lo fece precedere da una didascalia dell’Eneide di Virgilio: “Flectere si nequeo Superos Acheronta movebo ” (se non potrò piegare gli dei, smuoverò tutti i diavoli dell’inferno). Ed è grazie a questi diavoli smossi da Freud che l’umanità ha iniziato, da un secolo a questa parte, a godere di tanti benefici a livello psicologico. Per concludere, non posso non accennare qualcosa invece della “cultura cristiana” sul diavolo. In breve, la tradizione cattolica parla di personificazione del male; di un essere spirituale, cioè invisibile, specializzato nel fare, nel volere e nel ricercare il male; dedito a disunire e a combattere il bene e la vita; di un angelo ribelle e nemico di Dio (ciò spiega la sua caduta e la sua punizione) detentore di un forte potere sul mondo, capace con la menzogna di trascinare l’uomo verso il disordine morale. Che cosa si può provare di fronte ad un essere simile? Verrebbe da pensare a paura, angoscia e spavento. Niente di tutto questo, anzi psicologicamente parlando inviterei a tenere presente l’espressione popolare “Se Dio non vuole il diavolo non può”, nel senso che il diavolo comunque è sempre subordinato a Dio, e addirittura può essere visto come un paradossale alleato di Dio per verificare la nostra fedeltà a lui; in fondo la vicenda di Giobbe cos’altro è se non tutto ciò? Insomma, di fronte ad una tentazione diabolica, l’atteggiamento giusto da assumere è quello di cogliere l’occasione per ribadire con gioia la scelta di Dio, e preoccuparci soltanto di amare anziché spaventarci. D’altra parte più volte ho sentito ripetere che se siamo nell’amore evangelico diventiamo invisibili al demonio… e se abbiamo il sorriso della gioia evangelica sul volto, il diavolo ci sta alla larga.

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