Il dialogo difficile tra fratelli e sorelle
Ancora una volta la fratellanza, che faticosamente cerchiamo tutti di ricostruire fra ebrei e cristiani, sta vivendo momenti critici.
Prima la sparizione della scritta simbolo dei campi di concentramento (per altro ritrovata) poi la questione dell’inclusione di Pio XII nella lista dei nuovi beati.
Entrambe le situazioni hanno, in qualche modo, riaperto ferite, suscitato nuovi dubbi, confermando che la strada del dialogo fra ebrei e cristiani non è mai facile. Resta tortuosa, a dossi, con fondo sconnesso e, qualche volta, con vicoli ciechi dai quali sembra difficile uscire.
Mi pare che ciascuno di noi, ebreo o cristiano che sia, sa bene che i rapporti più difficili sono quelli che si vivono o che sono nati sotto lo stesso tetto, con coloro che hanno lo stesso sangue. C’è la familiarità, ma anche spesso la difficoltà di tornare sui nostri passi, di chiedere scusa, di perdonare. Non è mai facile farlo: nè con chi lavora con noi, nè con un vicino di casa, nè con un vecchio amico… ma, dopo tutto, con qualche sforzo e con la buona volontà, si arriva a ricomporre rapporti compromessi. Con genitori e, soprattutto, fratelli e sorelle quando qualcosa si incrina tutto diventa in salita e le pendenze sono estreme.
Quando penso al nostro rapporto di cristiani con gli ebrei, mi viene spesso in mente l’immagine della difficoltà dei rapporti fra familiari stretti. Siamo davvero fratelli e si capisce perchè la minima cosa tocca nervi scoperti e tutto diventa terribilmente doloroso.
Mai come quest’anno ho camminato insieme a tanti fratelli e sorelle ebrei. Ho camminato con loro a Gerusalemme, ad Auschwitz, in quella che un tempo era la zona ebraica di Cracovia.
Entrambe le situazioni hanno, in qualche modo, riaperto ferite, suscitato nuovi dubbi, confermando che la strada del dialogo fra ebrei e cristiani non è mai facile. Resta tortuosa, a dossi, con fondo sconnesso e, qualche volta, con vicoli ciechi dai quali sembra difficile uscire.
Mi pare che ciascuno di noi, ebreo o cristiano che sia, sa bene che i rapporti più difficili sono quelli che si vivono o che sono nati sotto lo stesso tetto, con coloro che hanno lo stesso sangue. C’è la familiarità, ma anche spesso la difficoltà di tornare sui nostri passi, di chiedere scusa, di perdonare. Non è mai facile farlo: nè con chi lavora con noi, nè con un vicino di casa, nè con un vecchio amico… ma, dopo tutto, con qualche sforzo e con la buona volontà, si arriva a ricomporre rapporti compromessi. Con genitori e, soprattutto, fratelli e sorelle quando qualcosa si incrina tutto diventa in salita e le pendenze sono estreme.
Quando penso al nostro rapporto di cristiani con gli ebrei, mi viene spesso in mente l’immagine della difficoltà dei rapporti fra familiari stretti. Siamo davvero fratelli e si capisce perchè la minima cosa tocca nervi scoperti e tutto diventa terribilmente doloroso.
Mai come quest’anno ho camminato insieme a tanti fratelli e sorelle ebrei. Ho camminato con loro a Gerusalemme, ad Auschwitz, in quella che un tempo era la zona ebraica di Cracovia.
Ho mangiato con loro cibo kasher, ho ascoltato le loro musiche e assistito alle loro danze, ho raccolto confidenze. Mi sono commosso con loro a sentire le loro storie, quelle delle loro famiglie. Ho vissuto alcuni giorni con un gruppo di giovani ebrei che vivevano un’esperienza di mutua conoscenza con coetanei cristiani. Abbiamo scoperto quanto abbiamo in comune, ma anche quanto siamo diversi e come molte parole che sembrerebbero essere uguali portano significati distanti anni luce.
Se alla fine del 2009 mi sento in qualche modo più ricco di quanto fossi un anno fa, lo devo proprio a questi momenti e, soprattutto, a questi fratelli e sorelle.
Ricordo un giovane rabbino americano che salutandomi, al termine di un programma, mi confidava di aver scoperto il segreto per un dialogo fruttuoso, l’umiltà, diceva. Ma aggiungeva: «Quando da tremila anni sai di essere il popolo eletto O da due mila anni pensi di avere l’unica verità, è difficile parlare di umiltà».
Penso che il giovane rabbino abbia sintetizzato perfettamente i nostri atteggiamenti, un invito all’umiltà per tutti, in questo momento. La ragione sta con coloro che con umiltà hanno il coraggio di continuare sulla strada tutta buche verso lo scoprirsi definitivamente veri fratelli.
Se alla fine del 2009 mi sento in qualche modo più ricco di quanto fossi un anno fa, lo devo proprio a questi momenti e, soprattutto, a questi fratelli e sorelle.
Ricordo un giovane rabbino americano che salutandomi, al termine di un programma, mi confidava di aver scoperto il segreto per un dialogo fruttuoso, l’umiltà, diceva. Ma aggiungeva: «Quando da tremila anni sai di essere il popolo eletto O da due mila anni pensi di avere l’unica verità, è difficile parlare di umiltà».
Penso che il giovane rabbino abbia sintetizzato perfettamente i nostri atteggiamenti, un invito all’umiltà per tutti, in questo momento. La ragione sta con coloro che con umiltà hanno il coraggio di continuare sulla strada tutta buche verso lo scoprirsi definitivamente veri fratelli.
(dal blog di Roberto Catalano)