Il dialogo cos’è?

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«Ma è così difficile dialogare?», ci si chiede. Forse oggi nel nostro convivere, a furia di vociare sempre sopra le righe, abbiamo dimenticato cosa esattamente sia “un dialogo”, questa forma alta e privilegiata di espressione culturale che lega persone appassionate ad una comune ricerca.

Sono mesi che sentiamo i nostri politici richiedere, implorare, promettere e pretendere un atteggiamento di dialogo alla parte avversa, per poi continuare a beccarsi come i polli di Renzo. E i giornali e le tv ce ne mettono del loro per esasperare i toni: si sa, lo scandalo e le grida fanno audience!

Eh già, bisogna tornare a Socrate, che non ha mai voluto scrivere nulla, concentrando la sua attività nella conversazione e nel dialogo – appunto – coi discepoli. Platone, costretto invece a scrivere, restò perlomeno fedele allo stile dialogico. Sosteneva che è troppo facile non avere interlocutori e non dover rispondere a domande. Gesù stesso pare abbia scelto principalmente questa forma comunicativa nel suo insegnamento, trasformandolo in una occasione continua di contatto esistenziale.

Torniamo a noi: senza voler coinvolgere in modo quasi irriverente queste alte metodologie di dialogo, nel patrimonio del pensiero umano c’è descritto il know-how, come direbbero gli anglofoni, cioè il bagaglio di conoscenze necessario per usare questo metodo di coesistenza e crescita.

 

Anzitutto la componente indispensabile perché un dialogo inizi è la presenza negli interlocutori di una “tolleranza positiva e attiva”, che significa non solo e non tanto la sopportazione dell’esistenza dell’altro, ma la sua accoglienza in pari legittimità e quasi l’immedesimarsi nel suo stato esistenziale e quindi nel suo punto di vista. Solo così sarà possibile iniziare a comprendere l’interezza e la verità dei problemi comuni.

D’accordo, la situazione è triste, Ma questa è una cultura che si trasmette per contagio. Ognuno di noi ha sempre un dialogo che lo aspetta in questo preciso momento. Ora e qui.

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