«Il dialogo con l’Islam è essenziale»

Dal libro del papa Luce del mondo un invito a vivere «ciò che è grande della nostra fede» e, nel contempo, a «comprendere l’eredità degli altri».  
Benedetto XVI l'ayatollah Seyed Mostafa Ahmadabadi

Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi: una declinazione efficace del titolo, Luce del Mondo, del recente testo di Benedetto XVI in dialogo con il giornalista tedesco Peter Sewald. Fra questi segni dei tempi non poteva mancare il rapporto con la tradizione religiosa ‘altra’, quel diverso dalle mille sfaccettature che oggi appare anche per la Chiesa una chiave di svolta imprescindibile. Nel corso della sua conversazione con Sewald, papa Ratzinger non si tira indietro su questioni scottanti, che hanno spesso scandito i giorni difficili – e non sono stati pochi – del suo pontificato. Il rapporto con il mondo ebraico e con quello dell’islam ne sono senz’altro parte.

 

La lettura dell’approccio di Ratzinger papa con il mondo musulmano è da realizzare nell’ambito di quella che è una delle linee portanti di questo papato: la centralità della questione di Dio nel confronto con quel secolarismo radicale oggi, soprattutto in occidente, assurto a sistema imperante di pensiero, etica e vita nel quotidiano. Per questo Benedetto XVI assegna una necessità prioritaria al dialogo fra cristiani e musulmani. È un incontro dialogico non fine a se stesso, ma con due finalità precise: «la difesa dei valori religiosi – la fede in Dio e l’obbedienza a Dio – e la necessità di trovare una collocazione nella modernità».[1]

 

Islam e cristianesimo si trovano a dover dialogare per trovare risposte esistenziali ed al contempo razionali per l’uomo del mondo d’oggi proprio sullo sfondo dei grandi mutamenti epocali che caratterizzano la nostra società. Nella sua analisi dei rapporti tutt’altro che facili e scontati con l’universo musulmano, Benedetto XVI appare uno dei pochi, direi l’unico, fra i leaders dell’occidente a non cadere nella trappola dello scontro di civiltà, che pone i termini in ragione asimmetricamente errata. Non parla mai, infatti, di un confronto fra Europa e mondo musulmano, percepito come minaccia. Chiarisce, piuttosto, che si tratta di situazioni storiche mutate dall’epoca dell’Impero Ottomano e della battaglia di Lepanto, che costringono i cristiani – ed anche i musulmani – «a vivere ciò che è grande della nostra fede», a«presentarlo in modo vivo»ea «comprendere l’eredità degli altri».[2]

 

È proprio questo atteggiamento vitale e di riconoscimento della diversità dell’altro, che permette di affermare che «naturalmente devono sussistere le varie identità religiose».[3] La vera comprensione è, infatti, quella che evita la confusione, ma che favorisce un confronto motivante e profondo. Per questo il cristiano deve essere preparato e «l’unico vangelo deve essere annunciato nella sua razionalità grande ed immutata ed insieme in quella sua potenza che supera quella razionalità, in modo tale da giungere in modo nuovo al nostro pensare ed alla nostra comprensione».[4] La nuova evangelizzazione, dettata da molti fattori, trova una sua ragion d’essere anche nella necessità di dialogo con l’islam – e con fedeli di altre fedi oserei aggiungerei – aiutando, fra l’altro, ad evitare la strada che porta alla confusione.

 

L’aspetto del dialogo con l’islam, vero segno dei tempi, non è, quindi, disgiunto da altri aspetti che interrogano il cristiano e chiedono una crescita spirituale, capace di rispondere alle sfide dell’oggi. D’altra parte, proprio Ratzinger lo aveva previsto agli inizi degli anni settanta quando aveva affermato che proprio nel dialogare con fedeli di altre religioni «è in gioco il senso del nostro poter e dover credere».[5]

 



[1] Benedetto XVI, Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi, Libreria Editrice Vaticana, 2010, 145

[2] Ibidem , 146

[3] Ibidem , 146

[4] Ibidem , 193

[5] J.Ratzinger, «Il problema dell’assolutezza della via di salvezza cristiuana» in Id., Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche. Queriniana, Brescia 1971, 391 in G.Colzani, Missiologia contemporanea, 311

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