Il “di più” di Francesco

Sono appena stato a pregare davanti alla tomba di san Francesco. Quando esco dalla basilica, mi viene in mente che Alda potrebbe scrivere un monologo, diventando lei la voce di Francesco. Alda è Alda Merini, una delle voci più limpide del nostro tempo, candidata al Nobel per la poesia. È invece Arnoldo Mosca Mondadori, l’editore che ha già pubblicato alcune sue opere, a rivolgere alla poetessa l’invito. Le telefona: Alda, potresti dettarmi un libro su san Francesco?. Sì, perché da tempo, ormai, come nota mons. Gianfranco Ravasi nella prefazione al libro, la poetessa milanese, come gli antichi rapsodi, non scrive più le sue poesie, le detta. Alda risponde all’editore con un deciso: Tu sei matto!. Dopo dieci minuti, lo richiama e gli detta di getto le prime venti pagine. Nasce così Francesco. Canto di una creatura, con la prefazione, come si è detto, di Gianfranco Ravasi, e i ringraziamenti finali ad Alda dell’editore per il dono unico della sua poesia. Sulla sovracopertina campeggia la Predica agli uccelli di Giotto. Quegli uccelli che ravvivano la sua casa sui Navigli. Ma a parte la consuetudine con gli amici uccelli che libero con le mani, e l’amore per la natura, che cosa accomuna Alda Merini a Francesco d’Assisi? Lo ha detto lei stessa, in occasione della presentazione del suo libro: la follia. Se Francesco fosse vissuto nel Novecento anziché nel 1200, l’avrebbero internato in manicomio. Come hanno fatto con lei. Perciò la sua voce si leva a cantare Francesco, quasi immedesimata in lui: Io, Francesco di Dio/ mentecatto di Dio/ voglio far ridere il mio Signore/ e voglio ricordargli ogni mattina/ com’è venuto al mondo/ e rinnovare la sua nascita./ I pastori, gli uccelli, le pecore…. Il canto francescano di Alda inizia con la scena del bacio al lebbroso che segna la svolta evangelica del giovane ricco, figlio di Bernardone: Mi son chinato sopra di te/ ho lavato le tue piaghe dice Francesco al lebbroso, anche se tu mi hai guardato/ come si guarda un pazzo. Libero e rivestito di sacco, Francesco entra in quella pazzia che – nota Ravasi -, è suprema saggezza; egli è la prefigurazione dell’idiota di Dostoevskij, che con la sapiente follia della croce coglie il nodo d’oro che tiene insieme la storia, evitando che si disperda in una superficiale nomenclatura di eventi e di parole. Ma c’è un altro fatto, poco noto, che lega, a distanza di otto secoli, le vicende di Alda e Francesco. A 17 anni Alda Merini perse la vista, e tale rimase per tre anni. Anche Francesco, per un glaucoma, sul finire della vita divenne cieco. Fu quello il momento in cui fluì dal suo animo la sublime poesia del Cantico delle creature (o di frate Sole). Alda fa riemergere nella sua lauda questa situazione, seppur temporanea. Nascono versi come questi: Dio, come sono diventato cieco/ dopo tanti sguardi d’amore/ non vedo più nulla/ oppure vedo troppo…. La storia narrata da Alda – non manca di sottolinearlo monsignor Ravasi – è la stessa narrata da Tommaso da Celano. Ma lo sguardo poetico di Alda squarcia il mistero di questo servo inutile di Cristo crocifisso, quale lo incontra in San Damiano, sino a diventare altro lui. Io sono diventato/ il ponte buttato tra la tua nascita/ e la tua risurrezione./ Camminate sopra di me,/ calpestate Francesco/ per arrivare fino al Calvario. È Francesco fatto una cosa sola con Cristo sin nelle stigmate, squarci di luce divina. C’è un di più, in questa storia dell’uomo che s’india, giacché Dio sì è umanato. Un giorno/ un giorno, Signore, tu mi hai dato di più:/ mi hai dato il dolore dei tuoi chiodi/ sconfitto e trafitto le mie carni/ mi hai fatto morire con te sulla croce. Se quella di Francesco è follia – follia d’amore – essa tuttavia non è che un pallido riflesso di quella, inaudita, di colui che fa sempre il primo passo nei confronti della sua creatura. Tanto da far cantare all’umilissimo Francesco il suo Magnificat: Sono diventato il vertice della carità/ perché Dio un giorno/ si è chinato su di me/ e mi ha baciato le mani.

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