Il desiderio di Dio
È forse la fragilità o la paura, in questo “tempo postmoderno”, segnato dall’incertezza della vita e dalla leggerezza dei costumi – tutto è permesso, perché la regola è che non ci sono più regole – a condurci a una nuova condizione umana in divenire, indefinita e indefinibile: “fluida”.
Desiderio o desideri?
Oscilliamo così tra desiderio e desideri, tra desiderio scatenato o frustrato, tra desiderio alto o degradato a basso istinto, divenendo sempre meno umani, dal momento che quando ci fermiamo alla parte animale che è in noi perdiamo di vista proprio ciò che ci rende uomini: la nostra umanità. Perché è proprio questo che stiamo perdendo di vista: il desiderio di essere ciò che siamo. Corpo e anima, carne e spirito: totalità unificata, riconciliata in unità, nell’identità personale e nell’azione virtuosa. Per questo conoscere se stessi, dominarsi e donarsi sono la sfida dell’umano. Per attuare ciò che la natura ha messo nelle nostre mani: un progetto di umanità in divenire, l’attuazione del nostro essere persona. L’uomo è infatti quell’essere il cui essere è un divenire nell’essere.
Il dramma di una buona fetta dell’umanità oggigiorno è la “perdita del desiderio”, di quella positiva “tensione”, come ricerca di senso e di completezza per realizzare il proprio disegno. Ma c’è un rischio ancora più sottile e più subdolo. Il desiderio, che qualificava l’uomo in quanto essere libero, conoscente e volente, diventa sempre meno necessario e coinvolgente. Nel tempo dell’indifferenza tutto può/deve tacere. Anche il desiderio diminuisce, nel tempo dell’oblio. Calo del desiderio, oblio del desiderio.
E tuttavia aumentano i desideri. Si è detto: in un mondo in cui abbiamo smesso di credere in Dio crediamo un po’ a tutto, e – aggiungo – al contrario di tutto. Così in un mondo in cui il desiderio si affievolisce, aumentano i desideri: in genere bisogni indotti, dal commercio e dalla pubblicità, dal desiderio di avere piuttosto che di essere, di apparire piuttosto che di agire. Desideri orizzontali, protesi verso cose: “oggetti del desiderio”, appunto, resi più belli e più appetibili da una tecnologia sofisticata e attraente. L’invito ad appropriarsi di questi oggetti ci rende esposti alla malattia dell’avere fine a se stesso, sulla quale i grandi autori della psicologia e della vita spirituale ci hanno messo bene in guardia.
Ma c’è di peggio. Il desiderio non è semplicemente proteso verso il mondo del bene e del reale, ma sempre più verso quello del male e del possibile, costi quel che costi. Non c’è più morale che tenga e così i desideri si distendono verso mete inquinate, esposti sulle piazze dell’effimero e venduti al mercato dell’idolatria. Devono essere consumati in fretta, uno dopo l’altro, come ciliegie succose, senza interruzione né soddisfazione totale, per lasciare aperta la bocca e lo stomaco ad altri desideri. Desideri sempre più inquinati dal mercato dell’offerta che propone e propina piaceri senza gioia, sesso senza amore, potere senza limiti.
L’essere umano si consuma, così, stanco e sfinito, in una serie di desideri senza fine e senza freni: desideri sfrenati. Ne rimane prigioniero e schiavo, incapace di schivare l’ostacolo più grande: quello di liberare il proprio potere, di essere libero di acquisire la propria libertà. L’inquinamento ha intaccato la sua natura: consumismo e relativismo. Tutto è acquisibile e acquisito, ma non per questo si è più ricchi: è l’inizio della povertà dell’umano, dell’uomo nel tempo della povertà in cui la ricchezza, paradossalmente, impoverisce e allontana dalla solidarietà e dalla condivisione. Tutto è livellato, ma non c’è eguaglianza, è l’oggetto (desiderato e desiderabile) che riduce l’uomo a sé, assoggettandolo, “cosificandolo”. L’uomo vive e muore, affogato nella molteplicità dei desideri.
Dio desiderabile e desiderio d'infinito: la saggezza delle religioni
Il filosofo ebreo Lévinas ha studiato e commentato il Talmud, ponendosi in una prospettiva quasi teologica. Influenzato dal clima culturale della tradizione ebraica, Lévinas afferma che la fede in Dio è il desiderio mai appagato di infinito. Il divino non si mostra, è silente anche davanti alla tragedia (Lévinas ha vissuto l’epoca della Shoah), tuttavia vi è una traccia del divino nel desiderio di Dio, il desiderio dell’infinito, dell’assolutamente Altro inaccessibile all’essere individuale dell’uomo. «Nessun viaggio, nessun cambiamento di clima o di sfondo – così egli scrive nella maggiore delle sue opere, Totalità e infinito – sarebbero in grado di soddisfare il desiderio»[1].
Dio è scomparso come un misterioso viandante che ha voluto cancellare le proprie tracce. Perciò Dio è il Desiderabile: pur non mostrandosi all’uomo Egli è l'oggetto del suo desiderio. Ma questo desiderio non si fonda su una vana volontà di desiderare, il desiderio viene suscitato dal Desiderabile, ovvero il moto dell’animo che porta l’uomo a desiderare l’infinito altro da sé è suscitato al fondo dalla presenza del divino, che è assolutamente altro rispetto all’uomo. Dio esiste, ma non si mostra, e pur non mostrandosi suscita il desiderio di Sé negli uomini (la fede). Solo così l’uomo è in grado di porsi in viaggio verso l’infinito, in un moto che mai si esaurisce verso la presenza infinitamente distante – e differente del Totalmente Altro – ma infinitamente desiderata di Dio.
Anche la saggezza cristiana, punto d’orientamento e stella polare in tempi di fragilità e di fluidità come il nostro ci offre un punto fermo, per rigore e chiarezza. Così nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), al numero 27 leggiamo: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa: "La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore" (GS, 19)».
Si tratta di un’importante affermazione, avvalorata da un rilevante testo del Concilio Vaticano II. Il desiderio di Dio (genitivo oggettivo: il desiderio che noi abbiamo nei suoi confronti), ce lo ha messo lui stesso dal momento che ci ha creati. La comunione con Dio, cioè la nostra relazione privilegiata nei suoi confronti, causata e sostenuta dall’amore divino, è appello e compito. Per questo esige una risposta di libertà e di fiducia che diventi “affidamento”.
Ma il Catechismo va anche oltre, dal momento che ripercorre con uno sguardo d’insieme il percorso umano del “desiderio” di Dio, della ricerca dell’uomo nei suoi confronti, che ieri come oggi trova differenti espressioni: «Nel corso della loro storia, e fino ai giorni nostri, la ricerca di Dio da parte degli uomini si è espressa in molteplici modi, attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni ecc.). Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso: Dio "creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17, 26-28)» (CCC 28).
Il testo sottolinea da un lato l’universalità di questa ricerca, di questo desiderio comune a tutti gli uomini, e afferma anche la realtà decisiva dell’essere umano: malgrado le ambiguità e le cadute egli è, nella sua natura più intima, homo religiosus, aperto a Dio e segnato dal legame con lui. Tuttavia ciò non basta. Più alta è la dignità – e quella umana è altissima, al punto che anche Lucifero e i suoi proseliti ne fanno oggetto di tutti i loro attacchi mortiferi – più alto è il rischio.
Il Catechismo continua: «Ma questo ‘intimo e vitale legame con Dio’ può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall’uomo. Tali atteggiamenti possono avere origini assai diverse: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l’ignoranza o l’indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze, il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell’uomo peccatore a nascondersi, per paura, davanti a Dio e a fuggire davanti alla sua chiamata» (CCC 29).
Il rischio è legato alla fragilità della natura umana, segnata dalla ferita del peccato e dalle tendenze egoistiche conseguenti, e alla sua memoria flebile (“L’uomo è un animale che dimentica”) e perciò facile a cadere preda dell’ignoranza e dell’indifferenza. Tutte queste realtà oscurano quel desiderio profondo iscritto nel suo cuore, obnubilandolo, e lo riportano, dal desiderio verticale di Dio che costituisce in qualche modo la natura più intima dell’uomo al desiderio orizzontale che si manifesta e si esplicita nella molteplicità dei desideri.
Il desiderio dimenticato, non viene tuttavia annullato: muore e risorge in quegli uomini che hanno saputo vivere da grandi, perché hanno saputo accoglierlo o suscitarlo: Socrate, Buddha, Maometto e, naturalmente Gesù. La vita che a lui si ispira si fa atteggiamento, stile di vita. Il desiderio legato finora a cose umane e temporanee si impregna di divino e d’infinito.
Il “santo desiderio”
Nel Trattato sulla Prima lettera a Giovanni (4, 6) sant’Agostino redige una bellissima pagina sulla “visione di Dio” che può illuminare il nostro tema. Mettendo a confronto le rivelazioni di Giovanni con Gesù e con la sua incomparabile grandezza scrive:
«Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla. La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione.
Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace.
Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l’apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: ‘Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli’ (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? "Una sola cosa, inseguire con tutta l’anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti" (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò.
In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Già l’abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino.
Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è».
In questa splendida pagina agostiniana è illustrata innanzitutto l’importanza e la necessità del desiderio, senza del quale la vita s’impoverisce e si appiattisce sulla dimensione orizzontale, e non approda alla visione. Il desiderio, nella sua energia originaria, è necessario per aprire l’uomo alla conoscenza, e per renderlo capace di accogliere Dio (capax Dei), cioè di allargare i suoi orizzonti sulle profondità di Dio stesso, fino a diventare esercizio e stile di vita, ricerca continua e pregustazione delle cose future e celesti, promesse a coloro che credono e vogliono allenarsi ad accogliere Dio. Per restare nell’immagine agostiniana: è allargando il sacco che puoi riempirlo con un contenuto immenso!
Il desiderio va anche elaborato e orientato in una pratica pedagogica, etica e religiosa che porti a compimento questa grande potenzialità iscritta nel cuore dell’uomo. Si tratta perciò di “esercitarci col desiderio”. Cosa che già san Paolo aveva testimoniato e che Agostino stesso sperimenta nella sua vita traducendola nella bella espressione all’inizio delle sue Confessioni (1, 1): «Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».
Infine, questo desiderio deve essere santo, cioè distaccato dal vecchio e aperto al nuovo: se Dio ci vuole riempire di miele, a che serve lasciare nei nostri vasi l’aceto? Bisogna perciò gettare il contenuto del vaso che va costantemente tenuto pulito, sempre pronto ad accogliere colui che, solo, può riempirlo degnamente e infinitamente: Dio.
Il desiderio di Dio su di noi
Al mio amico Djaz, senegalese musulmano, confido che sto scrivendo sul tema del “desiderio di Dio”. «Un tema difficile – mi risponde – non sempre è facile capire cosa Dio desideri da noi». La sua risposta mi colpisce. L’approccio al quale avevo pensato non era propriamente questo, dal momento che intendevo fare ciò che ho fatto fin qui: esporre il desiderio di Dio in senso oggettivo (dalla parte umana). Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Il desiderio di Dio in senso soggettivo, ovvero dal suo punto di vista.
E la domanda allora nasce spontanea: Dio ha desideri? E se li ha, che cosa Dio desidera da noi? Non intendo allargare lo sguardo troppo in là, ma fermarmi semplicemente a quello che considera il Nuovo Testamento quando afferma che «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tim 2, 4) o al fatto che Gesù preghi «affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).
Nell’uno e nell’altro caso è espressa un’esplicita volontà divina, che diventa punto di riferimento e di ispirazione umana, oltre che invito a conformarsi a quel desiderio, a quella volontà divina, per vivere la perfezione cristiana. I maestri di vita spirituale, da Francesco a Ignazio, da Teresa D’Avila a Teresina del Bambin Gesù, hanno insegnato e testimoniato tutto ciò. Così anche Teresa di Calcutta ai nostri giorni ci ha invitato ad essere “matita nelle mani di Dio” e Chiara Lubich ha sintetizzato la sapienza di Gesù: «Ora, Lui ha detto che soltanto facendo la volontà del Padre suo si ama veramente, che l’amore sta tutto lì. Noi siamo tutti presi dal desiderio di avere Dio come Ideale, di averlo come primo, di amarlo veramente con tutto il cuore; bene, c’è un sistema: basta fare la Sua volontà attimo per attimo con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze»[2].
In conclusione, Dio ha desiderio che noi abbiamo desiderio di lui, Dio ha sete della nostra sete. Deus sitit sitiri, Dio desidera il nostro desiderio. E la vita vera è solamente quella mossa dal desiderio: essa non avanza né per paure né per sforzi di volontà, ma dietro a un desiderio che Gesù sa custodire e indicare, riassumendolo in un insegnamento che è desiderio divino. Come scrive Chiara: «E nel fraterno amore è il compimento d’ogni desiderio di Dio che è comando: ‘Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri’ (Gv 13, 34)».