Il desiderio di convivenza

Gran parte delle guerre che sconvolgono il Medio Oriente hanno tra le concause la rivalità tra sunniti e sciiti. Il Paese dei cedri è uno dei rari esempi di convivenza riuscita. Fino a quando? Incontro con Ibrahim Shamseddine (seconda parte)

Un elemento fondamentale per capire la situazione assai complessa che si è creata nel Medio Oriente per la contrapposizione tra le due “anime” dell’Islam. Qui in Libano tale contrasto è più evidente, per la presenza degli Hezbollah e le vicine guerre.

 

Lottando col tempo per via del traffico estremamente creativo della capitale libanese, organizziamo una doppia visita: al centro universitario sciita diretto da Ibrahim Shamseddine e ad una moschea sunnita dove abbiamo incontrato lo sceicco Muhammad al Noukari. Si tratta di due alti esponenti dell’Islam libanese particolarmente impegnati nel dialogo interreligioso e interculturale. Direi piuttosto semplicemente “nel dialogo”, perché la dimensione essenzialmente umana del cercare il diverso-da-sé è in sé una via all’umanizzazione dei conflitti e delle differenze. Una vera lezione.

 

Il centro di Ibrahim Shamseddine – “Associazione per la carità e la cultura”, si chiama – esiste da 50 anni ed è stato fondato da suo padre. Nel campus ci sono biblioteche, aule, sale di preghiera, mense, tutto ciò che serve a degli studenti universitari. Ma da qualche tempo lo sviluppo s’è interrotto, come testimonia il cantiere aperto e mai concluso di un’ala nuova del campus: questioni di potere, di soldi promessi e mai dati dal governo, colpa «di chi ha il potere e vuole mantenerlo con una tragica politica della paura – come dice l’ex-ministro dello Sviluppo amministrativo –, semplicemente perché noi vogliamo sviluppare una nuova cultura islamica e laica nel contempo, e sì sa bene che invece tanta parte del mondo musulmano non vuole sentir parlare di laicità».

 

Parliamo d’Europa: «Se i tuoi vicini stanno male – prosegue Shamseddine – non puoi credere che la tua vita non sia toccata da questo malessere. Ciò vale anche per gli Stati e le loro relazioni. Difficoltà e turbolenze non possono non avere influenza sui vicini. Nel dialogo tra civiltà vogliamo rispettare i nostri vicini e non cercare di destabilizzarli. Ma bisogna cooperare per una maggior stabilità anche dei vicini. Mi dispiace inoltre che l’Unione europea si concentri sulle questioni economiche, mentre c’è bisogno di presenza culturale e sociale».

 

Non ha dubbi sulle relazioni tra musulmani e cristiani: «Dire “noi cristiani” o “noi musulmani” in queste terre è sbagliato. Siamo tutti minoranze, dobbiamo considerarci arabi, della stessa razza. Non possiamo nemmeno dirci negativamente una “minoranza cristiana”, perché automaticamente definiamo maggioranza i musulmani. Ma tra i musulmani ci sono minoranze sciite e sunnite…».

 

L’origine del Daesh? «Non è nato dal nulla, c’erano delle tendenze locali alla disgregazione e mancava la vera politica. Sul vacuum qualcosa deve riempire gli spazi! È un potere politico che si riveste di legittimazione religiosa». Sunniti e sciiti? «Le guerre nate da questo conflitto sono in realtà politiche, non religiose. Il nostro dialogo è aperto soprattutto coi cristiani, con gli amici-cristiani che vogliono vivere di amicizia reale. E così coi sunniti. Ma noi musulmani dobbiamo chiarire i legami inconfessabili tra politica e religione. Sapendo che l’ignoranza religiosa della maggior parte dei musulmani è grande e profonda. LA cultura non si inventa nell’istante, viene da lontano. E stiamo facendo macerie dei sistemi educativi. Abbiamo ragazzi che da cinque anni non vanno a scuola».

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