Il denaro di Charles Péguy
Uno sguardo penetrante e chiaroveggente, una sincerità schietta e saporosa. Utile per i nostri giorni.
In tempi di massima confusione economica, in cui nessuno sembra ormai capace di trovare il bandolo di una matassa che inesorabilmente ci impoverisce giorno dopo giorno, forse bisognerebbe tornare a studiare seriamente Péguy. E rileggere la sua opera poetica e la vasta opera in prosa, tutte ispirate da una tensione concreta allo spirituale – incarnato e vissuto in una terra, in un tempo, in un impegno necessario –, che ha pochi confronti, che è specificatamente e squisitamente cristiano: infatti genera, oltre gli umori e gli slanci, uno sguardo penetrante e chiaroveggente, e una sincerità schietta e saporosa che l’intelligenza sostiene e fa energica, senza mai inquinarla di astrattezza.
Péguy è uno scrittore “dimenticato”, “perdente”, considerato dall’ignoranza culturale di oggi un po’ sognatore, un po’ reazionario, socialista utopico e cristiano ingenuo. Ma leggiamo queste parole: «Il popolo non esiste più. Tutti sono borghesi. (…) L’antica borghesia si è trasformata in una borghesia squallida, una borghesia del denaro. Quanto agli operai, hanno ormai un’idea soltanto: farsi borghesi. Ed è proprio ciò che accade, anche se magari dicono di diventare socialisti».
Parole tratte da Il denaro (L’argent, 1913), che Péguy inserì nella formidabile impresa dei suoi Quaderni quindicinali, scritti poco prima di partire volontario, e morire, in guerra.
Egli vide trasformarsi la Francia, a cavallo tra i due secoli, in una società borghese secolarizzata, esattamente come Pasolini vide trasformarsi l’Italia in modo analogo negli anni ’60 ‑ ’70 del Novecento.
Stigmatizzava il partito “intellettuale” e “burocratico” corruttore del popolo perché portatore di un laicismo degenerato «nel più grottesco sistema metafisico che si sia mai visto al mondo, uno dei più terribili sistemi d’oppressione delle coscienze»; e di un socialismo anch’esso degenerato in «esasperazione degli istinti borghesi nel mondo operaio».
«Tutto il male è venuto dalla borghesia (…). Si è messa a trattare il lavoro dell’uomo come un valore di borsa e il lavoratore si è messo, lui pure, a trattare come un valore di borsa il proprio stesso lavoro».
L’età moderna è il tempo della «povertà di cuore», del «bisogno», persino, «di sterilità»; di quella «mancanza di attenzione», dice Péguy anticipando Simone Weil, che diventa disamore al lavoro, all’opera.
L’«opera ben fatta» non era solo la produzione caratteristica di una società preindustriale, artigianale, patriarcale, sacrale. Era prodotto e segno di una concezione profondamente spirituale della vita, della natura, della società, che diventava attuazione concreta della «città armoniosa» dell’uomo. «Ho veduto, durante tutta la mia infanzia, impagliare seggiole – sta parlando anche della propria madre – con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali (…). E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali».
Gli storici moderni rilevano i limiti dell’utopia di Péguy: non si può ritornare al passato, dicono.
A me il problema sembra mal posto. La corruzione denunciata da Péguy è corruzione d’anima, non di strumenti di produzione: riguarda il cattivo uso dei beni come il cattivo scambio dei beni. Corruzione ben più profonda e radicale dei vizi pur gravi di una stagione economica; in quella direzione dobbiamo riflettere, rileggendo, perciò, un’opera grande, geniale e misconosciuta.
Giovanni Casoli
BOX
«Ai miei tempi tutti cantavano. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava. Oggi si protesta. A quei tempi non si guadagnava quasi nulla. Eppure tutti mangiavano. C’era, anche nelle case più umili, una specie di benessere di cui si è perduto il ricordo. Non si facevano conti. Ma si potevano crescere i figli».
«C’era un onore incredibile nel lavoro, il più bello degli onori, il più cristiano. Un operaio di quei tempi non conosceva il significato della parola raccomandazione. E poi tutti i bei sentimenti aggiunti e connessi. Rispetto dei vecchi, dei genitori, dei parenti. Un meraviglioso rispetto dei figli. Naturalmente, il rispetto della donna».
«I nostri vecchi non potevano immaginare questo meccanismo economico del mondo moderno nel quale anno dopo anno ci sentiamo sempre più strozzati».
«Una rivista è viva solo se ogni volta scontenta un buon quinto dei suoi abbonati. E giustizia vuole che non siano sempre gli stessi a rientrare in questo quinto. Altrimenti, quando ci si sforza di non scontentare nessuno, si cade nel sistema di quelle riviste che perdono o guadagnano milioni per non dire nulla».
Charles Péguy – Denaro – Piano B