Il Cristo di via Gigliozzi

Un figlio cerebroleso. Un padre. L'inginocchiatoio di una chiesa. Come una Pietà.
Sculture

È la via della mia parrocchia, una per me non bella chiesa moderna con pretesa di riproduzione della “tenda del deserto”.

La sera alla messa vespertina ci sono, secondo le stagioni, da 10 a 30/40 persone, ciascuna certamente con problemi dolori attese letizie innocenze peccati, sfuggenti a ogni giudizio degli uomini. Necessariamente sfuggenti, incatturabili, condivisibili solo nel mistero.

Se uno non lo crede, o pensa di capire e di giudicare, guardi la più strana coppia del mondo: un padre sui 45, un figlio di età indefinibile (15?) più che ritardato, dev’essere almeno in parte cerebroleso, lì dinoccolato tra panca e inginocchiatoio, con la testa che va qua là su giù. Una volta che gli sono passato vicino mi ha guardato con un’innocenza meravigliata interrogativa, uno sguardo di profondissima ignara purezza, come un bambino di tre mesi ma meno consapevole e più disarmato. Ogni tanto si esprime con un trrrr meccanico e ritmico come il verso di un uccello o di una locusta.

Il padre sta inginocchiato a pregare, nei canti intensifica il volume delle altre voci e tiene la nota più a lungo, “Gloria al Padre!”, “Agnello di Dio!”, mentre stimola il figlio a guardare l’altare, a cantare con lui (ma non può farlo), lo bacia, lo fa quasi danzare. Una volta, al “Padre nostro”, gli ha preso le mani con le sue, gli ha disteso le braccia, insieme hanno formato una croce leggermente dondolante per tutta la durata.

Di solito, quando il padre è inginocchiato, viene il momento in cui il figlio si drizza e poi si china sulla schiena di lui, quasi aderendovi, e allora i due formano una simbiosi che solo Michelangelo saprebbe rappresentare in una nuova Pietà Rondinini inversa, il Cristo ripiegato sulla madre (padre) desolata.

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