Il Cristo di san Giovanni della Croce

Una occasione da non perdere. Sino a fine mese a Roma, a san Marcello al Corso, il capolavoro di Salvador Dalì

Il Giubileo dell’arte è già partito. Inaugurato con l’esposizione gratuita della tela del Cristo di san Giovanni della Croce (cm. 205 x 116, 1951) del maestro spagnolo Salvador Dalì, proveniente dall’Art Gallery di Glasgow nella chiesa romana di san Marcello al Corso. Fa impressione.

È un Dalì non surrealista, non onnivoro e fantasioso, ma attirato dal disegno che il santo carmelitano fece dopo una estasi. Dalì lo vide e con la sua sensibilità accesa si illuminò. Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso, il pittore si stava riavvicinando alla spiritualità: dipinse Madonne, una Ultima Cena, un altro Crocifisso, illustrò la Divina Commedia, incontrò papa Pio XII.

«Ad un ex surrealista − disse – non può capitare niente di più sovversivo che diventare mistico e saper disegnare. Io vivo al momento entrambi questi due tipi di forza».

Lo si avverte osservando la tela esposta davanti ad una grande tenda che favorisce la visione e il raccoglimento. Sì, perché l’artista qui è totalmente sincero e la sua anima complessa si è come essenzializzata, perciò affascina chi guarda il dipinto.

Il Cristo di cui non si vede il volto (come in Velàzquez) dal corpo classico si affaccia dalla croce luminosa e dal buio più profondo sul cielo rannuvolato che si squarcia in luce man mano che scende. Dove andrà?

C’è uno specchio d’acqua, rocce, una barca, due figurine (una è lui, Dalì). Dagli abissi del cosmo scende la luce che già irrora le piccole creature umane e diffonde una sorta di aurora boreale. La tela è tutta luce che si sprigiona da mondi ultraterreni, oltre le stelle e le galassie, oltre il tempo e lo spazio. Il Cristo crocifisso è sole sulla tenebra, è bellezza che si protende sopra l’umanità e sta abbracciando la terra, quasi si sta staccando dalla croce per nuovamente vivere tra gli uomini.

La potenza della visione di questo crocifisso luminosamente espressivo è grande. La tela svela un silenzio infinito e chi la osserva con pazienza scopre dentro di sé nuove corde spirituali ed emotive che risorgono dal sonno, e avverte il bisogno della contemplazione. Fuori dalla chiesa, suona il rumore del Corso. Dentro, siamo in un “altrove”. Ne abbiamo bisogno.

 

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