Il Cristo del Beato Angelico

A Roma per l’Anno della fede l'arte racconterà il mistero del Dio fatto uomo attraverso cinque mostre. Si comincia con l'Annunciazione del frate di Cortona che affida alla luce la contemplazione dell'incarnazione
Annunciazione di Beato Angelico

Quante annunciazioni ha dipinto  fra’ Giovanni da Fiesole, più noto come il Beato Angelico? Molte. Le più celebri sono la versione del Prado e quella di san Giovanni Valdarno, quella del museo diocesano di Cortona e le due degli affreschi nel suo convento fiorentino di san Marco. E sono solo le più famose.

Il tema dell’Incarnazione è sempre visto dal pittore nell’ottica di una fede che per lui è prima di tutto luce. Domenicano intelligente e spirituale, nella sua opera infatti traduce in luminosità ciò che ha contemplato, secondo il motto del suo ordine. Bene ha fatto perciò la Galleria Borghese, nell’anno che il papa ha dedicato alla fede, ad iniziare la serie di cinque tappe – seguiranno opere di Raffaello, Michelangelo, Leonardo e Vélazquez – con cui l’arte commenta il mistero cristiano per eccellenza, con la tavola che eccezionalmente i cortonesi hanno prestato fino al 10 febbraio.

L’opera è del 1430, risale cioè alla prima maturità del maestro. Non si distacca troppo nell’impostazione da quella contemporanea di san Giovanni Valdarno, mentre è assai diversa da quella del Prado. In quest’ultima infatti, anche se la scena avviene sotto una identica loggia rinascimentale, l’azione è meno mossa e punta alla meditazione spirituale. La Vergine con le braccia incrociate al petto ha già accettato l’invito dell’angelo che si china da subito di fronte a lei, perché il raggio divino che scende dal Padre porta in sé nel pulviscolo dorato la colomba dello Spirito. L’incarnazione, appena detto il sì di Maria, sta già sul punto di farsi. E l’episodio laterale con Adamo ed Eva cacciati da un giardino colmo di fiori bellissimi non è così tragico, perché il “rimedio” si sta già compiendo.

La tavola perciò è rivestita dai colori festosi, brillanti, immersi nella luce che dà alla scena appunto il tono di un avvenimento gioioso.

Nella tavola di Cortona, il pittore inscena l’azione in modo mosso ed eloquente. Sotto una loggia perfetta nella fuga degli archi, nobile come l’architettura fiorentina del primo rinascimento, la Vergine guarda negli occhi l’angelo dai capelli rossi e dalla veste di fiamma che con una mano le dice il messaggio e con l’altra indica lei come l’oggetto del progetto divino. Un modo didattico di interpretare l’annunciazione, chiaro per il fedele. Lontanissima in alto la scena della cacciata, con un dolore trattenuto. Qui il pittore fa riflettere sulla colpa e sul riscatto. Naturalmente, i progenitori  non sono le maschere dolenti del Masaccio, perché Angelico è raffinato e delicato. Ma il senso del dolore non è meno forte, anche se attutito dall’ottica della fede: colui che nascerà da Maria sconfiggerà la morte. È lei la protagonista della tavola, ed anche delle storie della predella. Veri fumetti colorati delle sue tappe di vita, cantano le lodi di una donna che Angelico dipinge in rosso-azzurro con due occhi trasparenti, uno sguardo diritto. Maria per frate Giovanni è certo la “serva del Signore”, ma pure una donna bella, piena di dignità e di coraggio. Trasformata dalla luce di grazia, ma pur sempre donna. Perciò egli riveste l’ambiente di tappeti preziosi, di marmi screziati, fa scivolare lontano una tenda rossa che fa intuire la stanza da letto, si sofferma sul libriccino aperto sulle ginocchia. Maria è la donna protagonista cosciente degli eventi.

Più tardi, a san Marco, egli vedrà la Vergine in due diversi modi: come porta del cielo nell’affresco che introduce alle celle, dove il giardino fiorito di verzure con l’angelo annunciante che la saluta è trapassato dalla frescura di una primavera di cui è lei la prima nuova creatura: umile ed alta come la canta Dante, un corpo vero dentro un’anima vera. In una cella Maria non è più corpo, ma solo luce nella luce. È forse il raggiungimento in questo tema più alto da parte del pittore. Un piccolo interno che la luce solleva e frantuma in pieno chiarore. Il bianco è il colore che scioglie gli altri, rende la veste della Vergine di un rosa evanescente come quello dell’angelo, mentre un frate contempla di lontano l’estasi luminosa. Angelico descrive il mistero in forme umane che sono quelle della resurrezione, del corpo glorificato. Così lega meravigliosamente i due grandi temi del cristianesimo, l’incarnazione e la resurrezione. Grazie ad una pittura ridotta a solo splendore.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons