Il costo del gioco d’azzardo

Il libro “Vite in gioco. Oltre la slot economia” (Città Nuova, 2014) getta luce sul fenomeno del gioco d’azzardo in Italia. L’intervista, pubblicata da Aleteia, di Chiara Santomiero a Carlo Cefaloni, curatore del volume e tra i coordinatori del progetto Slotmob. 
Vite in gioco

Il primo consumatore del gioco d’azzardo in Europa e il terzo nel mondo: pochi lo sanno, ma si tratta dell’Italia. Oltre 100 miliardi di euro di raccolta ogni anno (quasi 90 miliardi tra Gratta e vinci, slot machine, Totocalcio, lotterie a cui si sommano i proventi del gioco illegale), rappresentano un business il cui lato oscuro è la dipendenza patologica di circa un milione di persone e la rovina di migliaia di famiglie. Alle “Vite in gioco. Oltre la slot economia” è dedicato il libro di Carlo Cefaloni , dell’Editrice Città Nuova, in cui si raccolgono dati, analisi e storie per favorire la presa di coscienza collettiva di un fenomeno che può essere cambiato con scelte politiche e legislative diverse, sulla spinta anche di un movimento dal basso cui tutti i cittadini sono chiamati a contribuire.

Chiara Santomiero, Aleteia, 29.05.2014

Cosa è accaduto in Italia per arrivare a scalare questa poco invidiabile classifica?

Cefaloni: Spesso parliamo di azzardo solo in termini sanitari riferendoci all’aumento dei giocatori compulsivi, quasi fosse in virus che si è diffuso, ignorando che, invece, si tratta di un vizio indotto, frutto di un complesso di leggi e di una precisa scelta politica. Questo è ciò che cercano di mettere in evidenza i vari interventi che ho raccolto nel libro per andare al cuore della questione e capire cosa è successo e succede.

Perché questa scelta politica?

Cefaloni: Corrisponde alla filosofia per cui in tempi di crisi economica e di scarse risorse pubbliche con le quali soddisfare i bisogni sociali, lo Stato sceglie di far cassa ricorrendo al gioco d’azzardo. Tanto il gioco d’azzardo esiste e tanto vale usarlo come fonte di introito. Per questo il gioco è stato dato in mano a società specializzate che ne traggono profitto, restituendone parte all’erario che così provvede alla spesa sanitaria, alla cassa integrazione, alle altre necessità di carattere pubblico. Con una strategia di corto respiro oltre che controproducente.

In che modo?

Cefaloni: L’introito che lo Stato ricava da questa attività assomma a 8 miliardi di euro, di cui si asserisce di non poter fare a meno per il bilancio. Ma il costo sociale delle ludopatie – inserite solo di recente dal decreto Balduzzi tra le patologie riconosciute dal Servizio sanitario nazionale -, viene stimato in 6 miliardi di euro, una stima per difetto perché non tiene conto degli effetti a lungo termine del deterioramento del tessuto sociale.

Esistono interi quartieri, in seguito alla desertificazione conseguita alla chiusura dei negozi, occupati da centri di scommessa e di gioco d’azzardo.

Chi gestisce il gioco? Chi ci guadagna?

Cefaloni: Le grandi concessionarie in Italia hanno il nome di Lottomatica o di Sisal; nella prima domina la Società De Agostini che è più conosciuta per l’attività editoriale, ma è il massimo gestore dell’azzardo anche nel mondo e in Sisal ci sono soci come Le Generali o Mediobanca. Si tratta di realtà

che hanno un loro codice etico per cui una quota parte dei proventi viene destinato alla cura della ludopatia o alla formazione degli operatori del settore che si afferma siano cresciuti fino a 120 mila, anche se altre stime ritengono che in questa cifra vadano calcolati gli 80 mila gestori dei bar già

esistenti. Nel testo pubblicato c’è il dettaglio delle imprese che gestiscono il settore per cercare di capire meglio il fenomeno di cui stiamo parlando.

Ci troviamo di fronte anche a una debolezza di tipo culturale? Perché le persone giocano?

Cefaloni: Ci sono diversi livelli di lettura. Alcuni affermano che la crisi economica induce a cercare una “svolta” in una specie di vincita miracolosa. Solo che spesso non si gioca per vincere ma solo per un’abitudine alla quale non ci si riesce a sottrarre. E’ un problema che poi genera carenze finanziarie che generano il ricorso all’usura e l’avvitamento in giri sempre più pericolosi. Nel libro c’è una lunga intervista al prof. Tonioni del Policlinico Gemelli che spiega come non si tratti di un disturbo dell’umore, ma di un disturbo del pensiero che diventa ossessivo. In tempi di grande disagio collettivo, l’individuo cerca una distrazione e una rimozione davanti a un male che sembra incombere su tutta la società. Il gioco è uno dei luoghi in cui il disagio appare in maniera più evidente. E’ una realtà che va combattuta offrendo spazi di socialità alternativi e un’economia non schiacciata da una logica di mercato e dal principio individualistico che spinge a pensare solo per sé. Per questo il libro si intitola “Oltre la slot economia”: occorre un'altra economia.

Quali sono i segni di “ribellione” che evidenzi nel libro?

Cefaloni: Esiste una mobilitazione dal basso fondata su un’idea di consumo critico per cui si ricercano nelle nelle città quei gestori di bar che hanno deciso di non ospitare slot machine nei propri locali perché li concepiscono come spazi di socialità e non luoghi in cui le persone rovinano se stesse. Il movimento Slot mob organizza delle feste collettive che diventano processi di coscientizzazione del territorio in cui si riscopre un legame sociale anche solo per il fatto di recarsi in massa a fare colazione nello stesso bar no slot. Non per “risarcire” in qualche modo la scelta del gestore, ma per proporre una risposta basata sul dono, sulla gratuità, sul gioco inteso come dimensione fondamentale della persona in rapporto con l’altro.

E’ un’idea che ha avuto successo?

Cefaloni: E’ una iniziativa che si sta diffondendo – oltre 50 eventi da settembre in poi – e diventa l’innesco di una messa in discussione che coinvolge sempre più persone. E’ un primo passo. Più che lamentarsi crediamo occorra agire in maniera alternativa. Anche lo Stato dovrebbe porre in essere delle politiche diverse per la gestione del bene collettivo ma per arrivare a questo obiettivo occorre un dato sociale condiviso che mano a mano cambia le scelte, anche normative, a monte.

 

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