Il corpo della Compagnia di Gesù

La dimensione "collettiva" dell'esperienza dei gesuiti. Le tappe di un percorso. Spunti per un dialogo tra il "castello esteriore" dell'Opera di Maria e il "corpo" della Compagnia di Gesù.
Scudo gesuiti
Il corpo della Compagnia di Gesù va visto e compreso alla luce del racconto dell’Autobiografia e delle visioni di Roma (1553-1555).

 

La visione di “Cristo come un sole”, che accompagna Ignazio in tutta la sua vita, concentra in sé la realtà “mistica” della Compagnia, il suo essere corpo/luce, ed è scelta come simbolo della Compagnia di Gesù:

“… poteva trovare Dio in qualunque momento lo desiderasse. Anche al presente aveva molte visioni, soprattutto del genere di quelle di cui si è parlato più sopra, e nelle quali vedeva Cristo come un sole” (Aut. 99)1.

 

Il corpo della Compagnia di Gesù ha la sua radice in “paradiso”: le visioni di Manresa (1522).

 

Il corpo ha una radice trinitaria:

Primo. Sentiva profonda devozione verso la santissima Trinità… Un giorno, mentre sui gradini del convento recitava l’ufficio di nostra Signora, la sua mente cominciò ad essere rapita: era come se vedesse la santissima Trinità sotto figura di tre tasti d’organo; e questo con un profluvio di lacrime e di singhiozzi incontenibili… Questa esperienza gli è rimasta così impressa per tutta la vita da sentire poi sempre intensa devozione nel rivolgere la sua preghiera alla santissima Trinità”.

 

Il corpo è luce che crea:

Secondo. Una volta gli si rappresentò nell’intelletto, insieme con intensa gioia spirituale, il modo con cui Dio aveva creato il mondo. Gli pareva di vedere una cosa bianca dalla quale uscivano raggi di luce, ed era Dio che irradiava luce da quella cosa”.

 

Il corpo nel Corpo di Gesù:

Terzo… A Manresa dunque, ascoltando un giorno la messa nella chiesa del convento, alla elevazione del Corpo del Signore vide con gli occhi interiori come dei raggi bianchi che scendevano dall’alto. Questo fenomeno, dopo tanto tempo, egli non lo sa ricostruire bene; ma ciò che allora comprese, con tutta chiarezza, fu percepire come era presente in quel santissimo Sacramento Gesù Cristo nostro Signore”.

 

Il corpo è “uno” nell’umanità di Cristo e Maria:

"Quarto. Molte volte, e per molto tempo, mentre era in preghiera, gli accadeva di vedere con gli occhi interiori l’umanità di Cristo, e quello che vedeva era come un corpo bianco, non molto grande né molto piccolo, ma senza alcuna distinzione di membra. Ebbe questa esperienza interiore, a Manresa, molte volte; dicendo venti o quaranta volte non crederebbe di mentire. Un’altra volta l’ebbe a Gerusalemme, e un’altra mentre era in cammino nei pressi di Padova. Ha visto anche nostra Signora, nello stesso modo, senza distinzione di membra”.

 

Il corpo ha la sapienza che discerne:

"Quinto. Una volta si recò, per sua devozione, a una chiesa distante da Manresa poco più di un miglio: credo che si chiamasse San Paolo. La strada correva lungo il fiume. Tutto assorbito nelle sue devozioni, si sedette un poco con la faccia rivolta al torrente che scorreva in basso. E mentre stava lì seduto, gli si aprirono gli occhi dell’intelletto: non ebbe una visione, ma conobbe e capì molti principi della vita interiore, e molte cose divine e umane; con tanta luce che tutto gli appariva come nuovo. Non è possibile riferire con chiarezza le pur numerose verità particolari che egli allora comprese; solo si può dire che ricevette una grande luce nell’intelletto. Rimase un certo tempo in quello stato; poi andò a inginocchiarsi davanti a una croce, lì vicino, per ringraziare Dio. E proprio lì gli apparve quella figura che già molte altre volte aveva contemplato e che non era mai riuscito a comprendere: cioè quella cosa già descritta sopra, che gli pareva bellissima e con molti occhi. Ma ora, stando davanti alla croce, vide molto bene che quella cosa tanto affascinante non aveva la luminosità consueta. Ed ebbe una chiarissima conoscenza, a cui la volontà aderiva totalmente, che quello era il demonio. E anche in seguito, per molto tempo, continuò ad apparirgli spesso. Ma egli, in segno di scherno, la scacciava con il bastone che aveva sempre con sé” (Aut. 28-31).

 

Il corpo della Compagnia di Gesù inizia la sua esistenza terrena con la prima cellula formata da Ignazio di Loyola, Pietro Favre e Francesco Saverio: i “compagni di Gesù” (Parigi, 1528).

 

Ignazio lascia i “suoi” compagni per unirsi ai compagni “di Gesù”:

In questo periodo aveva contatti con i maestri Pietro Favre e Francesco Xavier che poi conquistò al servizio di Dio per mezzo degli Esercizi” (Aut. 82).

 

Ricorda Favre molti anni dopo:

Vivevamo sempre insieme, ripartendo la camera, la mensa, la borsa; e poi egli mi era insegnante di vita spirituale, dandomi possibilità di ascendere alla conoscenza della volontà divina e della mia propria. Così fu che divenimmo una cosa sola nei desideri, nella volontà e nel fermo proposito di scegliere la vita che ora teniamo tutti noi, i quali facciamo o faremo parte di questa Compagnia, di cui io non sono degno”2.

 

 

I tre diventano dieci. Il voto di Montmartre, 15.08.1534, festa di Maria Assunta:

A quel tempo avevano già deciso, tutti insieme, quello che volevano fare: sarebbero andati a Venezia, poi a Gerusalemme, e avrebbero speso la loro vita per il bene delle anime. Se non ottenevano il permesso di stabilirsi a Gerusalemme, tornati a Roma si sarebbero presentati al Vicario di Cristo perché si servisse di loro dove giudicava che lo richiedesse la maggiore gloria di Dio e il bene delle anime. Avevano anche stabilito di attendere l’imbarco per un anno a Venezia; se entro quell’anno non fossero riusciti a imbarcarsi per il Levante, si sarebbero considerati sciolti dal voto di andare a Gerusalemme, sarebbero andati dal Papa, ecc.” (Aut. 85).

 

Il corpo della Compagnia di Gesù, a immagine e somiglianza del Figlio, viene ricevuto dal Padre che conferma il nome: la visione de La Storta (Roma, 1537).

 

Per l’intercessione di Maria e di Cristo e per la volontà stessa del Padre, Ignazio, tutti i compagni e la Compagnia di Gesù vengono “messi con il Figlio”. In Ignazio il corpo della Compagnia di Gesù è unito al Figlio, è “sposato” con il Figlio:

Aveva deliberato che, una volta sacerdote, sarebbe rimasto un anno senza celebrare la messa per prepararvisi e per pregare la Madonna che lo volesse mettere con il suo Figlio. Un giorno, trovandosi ormai a poche miglia da Roma, mentre in una chiesa faceva orazione, sentì nell’animo una profonda mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo Figlio da non poter più in alcun modo dubitare che di fatto Dio Padre lo metteva con il suo Figlio” (Aut. 96)3.

 

Laynez, del primo gruppo di gesuiti, ricordando la visione de La Storta, mette in evidenza la dimensione collettiva dell’esperienza personale di Ignazio:

Il primo fondamento di porre questo nome fu nostro Padre, per questo che io dirò. Venendo noi a Roma per la via di Siena, nostro Padre, come quello che aveva molti sentimenti spirituali, et specialmente nella sanctissima Eucharistia, che egli ogni giorno pigliava, sendoli amministrata o da maestro Pietro Fabro, o da me, che ogni giorno dicevamo messa, et egli no; mi disse che gli pareva che Dio Padre gl’imprimesse nel cuore queste parole: – Ego ero vobis Romae propitius -. Et non sapendo nostro Padre quel che volesseno significare, diceva: – Io non so che cosa sarà di noi, forse che saremo crocifissi in Roma -. Poi un’altra volta disse che gli pareva di vedere Christo con la croce in spalla, et il Padre Eterno appresso che gli diceva: – Io voglio che Tu pigli questo per servitore tuo -. Et così Gesù lo pigliava, et diceva: – Io voglio che tu ci serva -. Et per questo, pigliando grand devotione a questo santissimo nome, volse nominare la congregatione: la Compagnia di Gesù”4.

 

Il corpo della Compagnia di Gesù assume una forma istituzionale nel discernimento in comune del primo gruppo di gesuiti: la Deliberazione dei Primi Padri (Roma, 1539).

 

Il disegno di Dio, anticipato nelle visioni di Manresa, si incarna come Opera-Istituto-Ordine:

Alla fine decidemmo per la prima alternativa e cioè: dal momento che il Signore nella sua generosa bontà ha voluto adunare e unire insieme noi, così deboli e provenienti da regioni e civiltà tanto diverse, non dobbiamo spezzare questa unione e comunità voluta da Dio; dobbiamo anzi mantenerla salda e rafforzarla, stringendoci in un solo corpo, attenti e premurosi gli uni verso gli altri, in vista del bene maggiore delle anime. Il valore di molti uniti insieme ha certo più vigore e consistenza, per ottenere qualunque arduo risultato, che non se si disperde in più direzioni… Infine, con l’aiuto del Signore, giungemmo a questa conclusione espressa a giudizio e voce unanime, e proprio senza alcun dissenso: per noi è più opportuno, anzi è necessario prestare obbedienza a uno di noi…”.

 

Il corpo della Compagnia di Gesù è “una comunità” nel corpo della Chiesa. L’approvazione della prima Formula dell’Istituto (Roma, 27.09.1540):

Chiunque, nella nostra Compagnia che desideriamo insignita del nome di Gesù, vuole militare per Iddio sotto il vessillo della croce e servire soltanto il Signore ed il Romano Pontefice suo Vicario in terra, emesso il voto solenne di castità, si persuada profondamente di far parte di una comunità istituita allo scopo precipuo di occuparsi specialmente del progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana, e della propagazione della fede”5.

 

Il corpo della Compagnia di Gesù nel Corpo di Gesù Eucaristia: la Oblazione della Compagnia di Gesù, ovvero, la professione solenne dei primi gesuiti (Roma, 22.04.1541, altare della Vergine, S. Paolo fuori le Mura).

 

Ignazio viene eletto generale l’8 aprile 1541 e confermato il 13 dello stesso mese. Gesù Eucaristia fa dei compagni di Gesù, uniti “nel nome di Gesù”, una cosa sola in lui. Il “corpo di Cristo e Maria”, visto nel “paradiso di Manresa”, si attualizza nel corpo della Compagnia di Gesù:

Il venerdì dell’ottava di Pasqua, 22 aprile, giunti in san Paolo, si riconciliarono tutti e sei gli uni con gli altri, e fu stabilito fra tutti che Ignazio celebrasse la messa e che tutti gli altri ricevessero il santissimo Sacramento dalle sue mani, pronunciando i loro nomi nel modo seguente. Ignazio, durante la messa, al momento della comunione, tenendo con una mano il Corpo di Cristo nostro Signore sopra la patena e con l’altra mano un foglio contenente la formula del suo voto, rivolto verso i suoi compagni posti in ginocchio, dice ad alta voce le parole seguenti… Dopo essersi comunicato, prese cinque ostie consacrate nella patena e rivolto ai compagni, fatta essi la confessione generale e detto; ‘Domine, non sum dignus…’, ecc., uno di loro prende in mano il foglio nel quale è stata scritta la formula del suo voto e dice ad alta voce le seguenti parole… Poi, per ordine, fa lo stesso il secondo, e così il terzo, il quarto, il quinto. Finita la messa e fatta orazione agli altari privilegiati, si riunirono presso l’altare maggiore, dove ognuno dei cinque si accostò ad Ignazio. Ed avendo Ignazio abbracciato ciascuno di essi e dato loro il bacio di pace, non senza molta devozione, affetto e lacrime, posero fine alla loro professione e iniziata vocazione. Poi sugli intervenuti si fece una costante, crescente e grande tranquillità e lode di Gesù Cristo nostro Signore”.

 

Il corpo della Compagnia di Gesù è il punto di vista delle Costituzioni della Compagnia di Gesù (Roma, 1541-1556). In esse il singolo gesuita viene incorporato nel corpo della Compagnia.

 

Nel Proemio troviamo l’amore reciproco e l’unità come premessa delle Costituzioni:

Benché debba essere la somma Sapienza e Bontà di Dio, nostro Creatore e Signore, a conservare, guidare, e condurre innanzi nel suo santo servizio questa minima Compagnia di Gesù, come si è degnata di darle inizio, e da parte nostra debba giovare a ciò più di ogni altra Costituzione esterna l’intima legge della carità e dell’amore, che lo Spirito Santo scrive ed imprime nei cuori… E benché ciò che nel nostro disegno occupa il primo posto e ha maggior peso sia quel che riguarda il corpo intero della Compagnia, di cui si cerca soprattutto l’unione, il buon governo e il mantenimento in buono stato, a maggior gloria di Dio; tuttavia, poiché questo corpo è formato di membri, e nell’esecuzione viene anzitutto quel che spetta agli individui, sia quanto all’ammetterli, come quanto a farli progredire e ripartirli nella vigna di Cristo nostro Signore, di qui si comincerà con l’aiuto che la Luce eterna si degnerà comunicarci per suo onore e lode” (Cost. 134-135).

 

 

Il corpo della Compagnia di Gesù esiste se è uno e unito dall’amore obbediente:

“… la Compagnia non può né conservarsi né reggersi, e perciò neppure raggiungere lo scopo, al quale tende a maggior gloria di Dio, senza che i suoi membri siano uniti tra loro e con il proprio capo” (Cost. 655).

Quello che giova all’unione dei membri della Compagnia tra loro e con il loro capo gioverà molto anche per conservarne il buono stato. Questo vale specialmente del vincolo delle volontà, e cioè della carità e dell’amore degli uni per gli altri… Ma a ciò aiuterà, soprattutto, il vincolo dell’obbedienza, che unisce i singoli con i loro superiori, e questi tra loro e con i provinciali, e gli uni e gli altri con il Generale: così da osservare diligentemente fra tutti la mutua subordinazione” (Cost. 821).

 

 

Il corpo della Compagnia come mezzo di irradiazione dell’unico amore di Dio:

Il principale vincolo reciproco per l’unione delle membra tra loro e con il loro capo è l’amore di Dio nostro Signore. Infatti, se superiore e inferiori staranno molto uniti con la sua divina e somma Bontà, lo staranno con tutta facilità anche tra loro, in virtù dell’unico amore, che da essa discenderà e si estenderà a tutto il prossimo, specialmente al corpo della Compagnia. Sicché la carità, e in genere ogni bontà e virtù, che faranno avanzare lungo le vie dello Spirito, gioveranno all’unione scambievole. Aiuterà anche ogni disprezzo delle cose temporali, a causa delle quali suole cadere nei disordini l’amor proprio, principale nemico dell’unione e del bene universale. Può anche giovar molto l’uniformità, sia interna di dottrina, di giudizio e di volontà, per quanto è possibile; sia esterna, nel vestire, nelle cerimonie della messa e nel resto, quanto sarà compatibile con le differenti qualità delle persone, dei luoghi, ecc.” (Cost. 671).

 

 

Il corpo della Compagnia ha una dimensione esterna e una interna:

Per conservare e sviluppare non soltanto il corpo, cioè quello che è esterno della Compagnia, ma anche il suo spirito, e per conseguire il suo fine, che è di aiutare le anime al raggiungimento del loro fine ultimo soprannaturale, i mezzi che congiungono lo strumento con Dio e lo dispongono a lasciarsi guidare dalla sua mano divina sono più efficaci di quelli che lo dispongono verso gli uomini… Pertanto, si ritiene che tutti insieme si debba aver cura che tutti quelli della Compagnia si diano alle solide e perfette virtù e alle cose spirituali, delle quali deve farsi più conto che delle lettere e degli altri doni naturali ed umani. Infatti, sono le doti interne che devono rendere efficaci quelle esterne in vista del fine che si persegue” (Cost. 813).

 

Il corpo della Compagnia di Gesù ha Gesù come capo: la visione del Diario che ricorda e conferma quella de La Storta (Roma, 23.02.1544):

 

“… mi si affaccia il pensiero di Gesù; e avverto un impulso a seguirlo, parendomi del tutto evidente che il fatto di essere Lui capo della Compagnia doveva costituire l’argomento più forte di tutti gli altri motivi umani per scegliere la povertà più completa… E mi pareva, in qualche modo, che era [opera] della santissima Trinità il fatto che Gesù si mostrasse o lo sentissi, tornandomi alla memoria quando il Padre mi pose con il Figlio. [Conferma di Gesù]”.

 

Il corpo della Compagnia è un “corpo spirituale” che vive “perché tutti siano uno”. la realtà della Compagnia di Gesù nell’Epistolario:

 

“… per coloro che hanno già maggior dominio dell’amor proprio stimo meglio, come ho scritto, di attenersi alla misura della discrezione, senza sottrarsi all’ubbidienza, virtù che vi raccomando con molta insistenza assieme a quell’altra che le compendia tutte, tanto raccomandata da Gesù Cristo, che la chiama il suo comandamento: ‘Il mio comandamento è che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi’ (Gv 15, 12). Bisogna non solo che manteniate l’unione e l’amore continuo tra voi, ma anche che li estendiate a tutti, procurando di accendere nelle anime vostre vivi desideri della salute del prossimo e pensando che ciascuno vale il prezzo del sangue e della vita che costò a Gesù Cristo. Così, da una parte studiando le lettere e dall’altra aumentando la carità fraterna, vi renderete perfetti strumenti della grazia divina e collaboratori nell’opera sublime di riportare a Dio, fine supremo, le sue creature”6.

 

E a voi, fratelli carissimi in Gesù Cristo Dio e S. N., per lui stesso chiedo che vi rendiate degni della sua visita e dei suoi tesori spirituali con la purità di cuore, con l’umiltà vera, con uno stesso sentire e volere da parte di tutti, con la pace esteriore e interiore che accoglie e fa regnare nell’anima colui che si chiama il ‘principe della pace’ (Is 6, 9). In breve, che tutti formino una sola cosa nel S. N. Gesù Cristo”7.

 

Stia certo, carissimo fratello, che lei, sebbene separato dal corpo, è intimamente unito con il vincolo della carità da parte nostra e anche, come penso, da parte sua. Si persuada che è unito non solo con questo vincolo, ma anche con quello della santa ubbidienza, che lega tutti i membri della Compagnia in un corpo spirituale, di cui lei fa parte dovunque si trovi”8.

 

 

NOTE

 

1 Ignazio di Loyola, Gli scritti, ADP, Roma 2007. I testi ignaziani sono tutti citati da questa edizione.

 

2 P. Favre, Memorie spirituali, Piemme, Casale Monferrato 1990, p. 18.

 

3 Cf. Esercizi spirituali, n. 147.

 

4 D. Laynez, Adhortationes in librum Examinis (1559), in FN II, MHSI, Roma 1951, p. 133.

 

5 Paolo III, Lettera Apostolica Regimini militantis Ecclesiae. Nella Formula del 21.07.1550, contenuta nella Lettera Apostolica Exposcit debitum di Giulio III, la parola “comunità” viene sostituita dalla parola “compagnia”.

 

6 Lettera alla Comunità di Coimbra (7,05.1547).

 

7 Lettera alla comunità di Coimbra (15.01.1548).

 

8 Lettera a Francesco Mancini sj (7.04.1554).

 

 

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