Il coraggio di parlare col cuore per dire la verità
Non bisogna avere paura di dire la verità, anche se è scomoda, purché lo si faccia con carità, parlando con il cuore, ascoltando chi si ha davanti con empatia fino ad avvertire, dentro di sé, il battito del cuore dell’altro. Per papa Francesco è così che può avvenire il miracolo dell’incontro, che ci fa guardare gli altri con compassione. E questo è anche l’invito che ha rivolto ai giornalisti – ma non solo – affinché, superando strumentalizzazioni e fake news e il rumore che domina l’informazione, riescano a comunicare con chiarezza e carità, aiutando le persone a comprendere la complessità del mondo in cui viviamo.
Del messaggio del papa per la 57esima giornata mondiale delle Comunicazioni sociali si è parlato anche a Lourdes, cuore pulsante della Chiesa francese, nell’ambito delle 26sime Giornate internazionali di san Francesco di Sales. Circa 300 giornalisti di 25 Paesi diversi si sono confrontati sul presente e sul futuro dei media cattolici e su come possono farsi sentire in un mondo che non ascolta e in cui si grida per essere ascoltati.
Dal 25 al 27 gennaio il confronto ha riguardato temi di grande attualità, come la violenza sulle donne, la guerra in Ucraina, i cambiamenti climatici, ma anche argomenti scottanti per la Chiesa, come le divisioni al suo interno e gli abusi spirituali e sessuali compiuti dai suoi membri. Promosse dalla Federazione dei media cattolici, con la partecipazione del Dicastero vaticano della Comunicazione, di Signis e Ucsi, le Giornate hanno permesso a giornalisti e comunicatori di confrontarsi e guardare al futuro.
«Vogliamo farci sentire – ha affermato Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione (leggi qui l’intervista a Ruffini) – perché sentiamo di avere qualcosa da dire che è diverso dal rumore del mondo. Ma come possiamo farci sentire se questo rumore ha creato così tanti sordi, tanto da rischiare di diventare sordi noi stessi e sfiduciati?». Ruffini ha ricordato la strada del cuore indicata dal papa, da percorrere con umiltà, per accostarsi alla realtà e agli altri con comprensione, per capire prima di parlare, per essere liberi in un contesto esasperato dai conflitti, per cercare la verità con la saggezza del cuore puro, senza pregiudizi, e condividerla e farla crescere nel dialogo e nella relazione.
C’è bisogno, coma affermato da Vincenzo Varagona, presidente dell’Ucsi, di ritrovare l’empatia con il pubblico, per recuperare la fiducia della gente. Dobbiamo promuovere un giornalismo costruttivo, che oltre a raccontare i problemi, provi ad indicare delle soluzioni.
Tra le tematiche affrontate, in questo senso, c’è stata la violenza sulle donne. In un Paese come il Camerun, in cui ufficialmente una donna su due ha subito violenza, ma ufficiosamente i numeri sembrano ben più alti, Aissa Marie Doumara Ngatansou, lei stessa vittima di abusi, è stata cofondatrice dell’Associazione per la lotta alla violenza sulle donne, vincendo il premio Simone Veil per la parità di genere.
Delle divisioni nella Chiesa ha parlato don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana. Davanti ad eventi divisivi per i cattolici, i giornalisti – ha spiegato partendo dalla sua esperienza – devono fare i conti innanzi tutto con sé stessi, affrontando lo scandalo della divisione del popolo di Dio e le strumentalizzazioni che vengono fatte. In un momento storico in cui non si esita a parlare contro il papa, anche all’interno di “community” on line, l’appartenenza religiosa è “liquida”, non salda, e l’io sembra prevalere sul noi: una situazione paradossale per la Chiesa, che dovrebbe invece essere un grande “noi”.
Bisogna allora non dimenticare i capisaldi della professione: riportare la verità dei fatti, rispettare le persone con un linguaggio non offensivo e praticando la carità, portando speranza, confrontandosi per capire e approfondire, basandosi sulla realtà e non sulle idee, senza dimenticare che il bene più grande, nella Chiesa, è l’unità nel Signore.
Si è parlato anche della guerra in Ucraina, altro tema che nel nostro Paese divide tanto i cattolici per le diverse modalità di intervento che si vorrebbero promuovere. Svitlana Dukhovych, giornalista ucraina di Vatican News, ha parlato dell’urgenza che ha provato di raccontare ciò che accade nel suo Paese. «Volevo gridare al mondo: Fate qualcosa», ma era un appello, ha spiegato con occhi pieni di sofferenza, «rivolto soprattutto a me stessa. Io dovevo raccontare il loro dolore. Se non faccio parlare il mio dolore, vuol dire che non ho più fiducia che ci sia chi mi ascolta. Io parlo perché ho fiducia nell’umanità».
Ed è forse proprio dalle parole di Svitlana che i media cattolici devono ripartiore. «Come possiamo farci sentire? Proviamo – ha detto – ad ascoltarci e a condividere quello che c’è di buono. Ascoltiamo le persone anche quando non parlano».
Se il Vangelo è un messaggio universale, per i media cattolici c’è ancora un futuro e soprattutto c’è un ampio pubblico a cui rivolgersi. Anche dagli influencer arrivano interessanti suggerimenti. Katie Prejean McGrady, speaker di Lake City, Usa, ha spiegato che nell’ambito cattolico le persone non sono interessate a ciò che conosce chi parla, ma se quella persona è interessata a chi lo segue. Il pubblico avverte se chi parla o scrive “ci tiene”, se si “prende cura” di chi lo ascolta o lo legge.
Una vera sferzata è arrivata invece da Gad Elmaleh, attore e comico francese, interprete di pellicole come Train de vie, Dream Team, Vento di primavera. Nel suo ultimo film, Reste un peu, ha raccontato la sua conversione dall’ebraismo al cattolicesimo e del suo amore per la Madonna. Tra una battuta e l’altra, ha incoraggiato i giornalisti presenti e i media da loro rappresentati a mostrarsi come si è. Bisogna avere il coraggio di dire di essere cattolici, altrimenti manca la sincerità. Bisogna avere un’identità forte e andare incontro alle persone. Senza paura.
Non bisogna aver paura di parlare, dunque, e di essere ciò che si è, come testimoniato anche da una donna forte in un mondo di uomini di potere, Helen Osman, presidente di Signis Monde. Anche quando non si viene creduti, anche quando non si viene sostenuti bisogna continuare ad andare avanti, con coerenza.
A volte, tuttavia, si può scegliere di tacere. «Non parlare non vuol dire non fare», ha però spiegato il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, ospite d’onore delle Giornate. La Santa Sede – ha affermato – negozia per assicurare la libertà della Chiesa e per farlo bisogna parlare, bisogna trattare, con chi ha idee contrarie. I conflitti, ha sottolineato il cardinale, possono essere disattivati con l’arma più forte, quella del dialogo, ma anche con l’educazione alla pace, che educa i cuori e le menti all’esercizio della libertà.
«Le guerre non risolvono i problemi e in queste situazioni difficili i giovani possono contribuire a cambiare il mondo, con un approccio diverso alle cose, costruendo rapporti di amicizia. Purtroppo, tra molti popoli non c’è fiducia, ecco perché bisogna promuovere delle relazioni per conoscersi meglio. Quando ci si conosce è pù facile accettarsi e costruire insieme il futuro. Un futuro migliore».
Parolin ha anche consegnato il premio Padre Jacques Hamel 2023 (sacerdote ucciso a Saint’Étienne du Rouvray) a Christoph Chaland, giornalista del settimanale “Le Pelerin”, per l’articolo “Padre Pierluigi Maccalli, 752 giorni ostaggi dei mujaheddin“. Presenti anche Jean Marie Montel, della Federazione dei media cattolici, Xavier Le Normand, coordinatore degli incontri, e Roselin Hamel, sorella di padre Jacques.
Al termine di queste intense Giornate – nello scenario suggestivo di un santuario di Lourdes avvolto da fiocchi di neve – resta dunque la consapevolezza della responsabilità di una professione quanto mai necessaria a capire e spiegare la realtà in un mondo che cambia e che inganna. E diviene impellente il bisogno di osare, di non nascondersi, di mostrarsi per come si è, con chiarezza e verità, cercando di portare parole di speranza e di unità anche dove sembra che tutto sia perduto, anche se di positivo, a volte, sembra non esserci niente, sempre pronti a cogliere ogni flebile segno di amore e ad ascoltare i “battiti dei cuori”, i bisogni della gente, con umiltà e attenzione. E resta anche la certezza che, se non continua questo dialogo, questo confronto tra i media cattolici, si rischia di chiudersi, di limitare i propri orizzonti, di sprecare un patrimonio di saperi e di voci di cui c’è invece ancora un gran bisogno.
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