Il coraggio della speranza nelle religioni e non solo

La comunità di sant'Egidio apre a Roma il suo appuntamento annuale con rappresentanti delle maggiori religioni del mondo e vari leader politici e culturali che offrono riflessioni e testimonianza sulla possibilità di convivenza tra diverse opzioni spirituali, partitiche, territoriali e di fede
Rappresentanti di diverse chiese all'incontro della comunità di sant'Egidio

Fa un certo effetto partecipare al convegno Uomini e Religioni, appuntamento annuale della Comunità di Sant’Egidio, a Roma. Il 2cantiere della pace", come Giovanni Paolo II aveva definito l’atto di Assisi 1986, che la comunità fondata da Riccardi, ha voluto continuare nel corso di questi quasi tre decenni, è, infatti, passato da Bruxelles, Aachen, Bucharest, Cipro, Monaco sconfinando nel continente americano – a Washington nel 2006 – e lo scorso anno aveva fatto sosta a Sarajevo. A Roma, dove tutto aveva avuto inizio con le prime due manifestazioni del 1987 e nel 1988, era tornato solo una volta nel 1996.

Eppure, ha un senso importante, senza dubbio tutt’altro che casuale questa nuova sosta di riflessione nella città eterna. In questi mesi la Chiesa cattolica ha vissuto momenti importanti, che hanno avuto una risonanza mondiale e trasversale e che hanno coinvolto tutti a qualsiasi latitudine si trovino. Le dimissioni di Benedetto XVI e i primi mesi del pontificato di un papa che viene da quella che dall’Europa poteva apparire un tempo una delle "periferie del mondo" hanno segnato un nuovo corso per l’umanità. E’, quindi, significativo questo momento di incontro fra uomini e donne di diverse tradizioni religiose nel luogo centrale della cristianità.

La messa di apertura, celebrata nella basilica di san Paolo fuori le mura, non poteva non richiamarsi all’apostolo delle genti, quell’uomo che ebbe il coraggio di portare il messaggio al mondo e alle culture del tempo, presagio della vera vocazione universale del cristianesimo. Poi, nel pomeriggio, di domenica la solenne apertura all’Auditorium di via della Conciliazione, gremito e variopinto nelle rappresentanze delle varie chiese e comunità ecclesiali cristiane e dei fedeli di diverse religioni, fra i quali un nutrito gruppo di ebrei e, poi, musulmani, buddhisti, indù, gianisti, sikhs, baha’i. Il titolo di quest’anno stimola tutti ad una riflessione che interpella in prima persona: Il coraggio della speranza.

In effetti, coraggio e speranza non possono far difetto a coloro che credono nel dialogo e si impegnano alla sua realizzazione. «Vivere insieme tra diversi non è facile talvolta complicato, diventa conflittuale – ha affermato Andrea Riccardi. Se l'altro resta fuori, ai margini del mio campo di visione, è pericoloso, perché rischia di scivolare nell'area dei nemici. Sicuramente è una condizione spiritualmente insana». Il fondatore di Sant’Egidio ha citato Martin Luther King, poche settimane dopo il cinquantesimo anniversario del famoso "I have a dream". Diceva il pastore battista afro-americano: «Ho cercato la mia anima, ma l'anima non l'ho vista, ho cercato il mio Dio, ma mi è sfuggito, ho cercato mio fratello, e ho trovato tutti e tre».Giustamente, Riccardi ha sottolineato che «l'altro, il diverso, non sono solo un problema politico, sociale: sono una grande questione spirituale». E qui sta una delle grandi sfide dell’epoca che ci troviamo a vivere.

Ma il fondatore della Comunità di Sant’Egidio non è stata una voce isolata. Il messaggio della necessità di una scelta coraggiosa per poter sperare e far sperare o risperare il mondo è venuto da più parti. In tal senso possono essere letti interventi come quello del Rabbino David Rosen o del mufti d'Egitto Shawqi Allam, che, come dichiarato dall’ambasciata egiziana presso la Santa Sede, rappresenta qui a Roma Ahmed el Tayyeb, gran imam di al Azhar, la principale istituzione sunnita. E’ la sua una presenza molto significativa. Dopo aver congelato il dialogo col Vaticano per oltre due anni, l'imam Ahmed el Tayyeb ha recentemente espresso stima nei confronti di papa Francesco che gli aveva indirizzato un messaggio personale. La speranza, quindi, deve continuare nonostante le difficoltà.

Lo ha ricordato anche il primo ministro italiano Letta, accolto da uno scrosciante applauso, che ha saputo leggere alla luce del paradigma della speranza i recenti avvenimenti internazionali. Dalle Nazioni Unite, per esempio, –  ha sottolineato il capo del Governo – sono arrivati segnali come da tanto tempo non se ne vedevano. La crisi in Siria, ormai ad un passo dall’opzione militare, è stata evitata proprio grazie al dialogo. Un altro segno di speranza che si presenta concreto, come mai era successo negli ultimi trent’anni, è quello dell’apertura del dialogo tra Usa-Iran. E’ evidente, ha detto Letta, che «se tutto rimane fermo la pace e il dialogo non ci saranno mai. Tutto questo sarebbe impossibile se non ci fosse la forza della speranza». Ma dal primo ministro italiano è venuta anche la gratitudine verso Papa Francesco per i suoi appelli contro la globalizzazione dell’indifferenza, alla base di ogni condizione che porta alla guerra.

E, parlando, di speranza non poteva mancare un cenno alla situazione per certi versi esasperata del nostro Paese, che Letta ha affidato, in modo discreto, ma efficace alle preghiere dei presenti. Forse, anche qui non si tratta di caso. L’Italia si trova a dover attingere, in questo momento, ad una buona dose di entrambi e il convenire di leaders di ogni continente, fede e cultura può essere un segno importante per Roma e il nostro Paese.

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