Il contributo della Chiesa all’unità d’Italia
300 delegati si sono confrontati a Roma sul ruolo della Chiesa nella formazione dello stato italiano.
Si è chiusa la tre giorni del convegno, organizzato dal Progetto culturale sostenuto dal cardinale Ruini, dedicato a “Tradizione e progetto nei 150 anni dell’unità d’Italia”. 300 delegati a discutere e confrontarsi nelle splendide – e trascurate (dov’è la Soprintendenza? Gli affreschi stanno morendo grazie all’umidità) – sale dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia a Roma. Dopo la prolusione del card. Bagnasco, presidente della Cei, ieri la tavola rotonda tra Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni dell’unità, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, Giuliano Ferrara e Dino Boffo, direttore di TV 2000.
Gli stimoli venuti dai quattro relatori sono stati interessanti, in primo luogo perché hanno dimostrato che menti lucide e libere da pregiudizi possono confrontarsi serenamente sul rapporto storico chiesa-stato così consustanziale all’Italia, nazione anche da questa prospettiva unica al mondo, per il fatto di esser la sede del papato. Analisi acuta quella di Amato: parla della necessità che fede e vita civile vivano in accordo, ossia che il credente non lasci la fede nel privato, ma porti i suoi valori nella società, sfuggendo alla separazione tra vita religiosa e vita collettiva che è eredità della storia del processo unitario nel nostro paese. Insomma, occorre superare la separazione tra essere fedeli ed essere cittadini.
Caracciolo, da non credente, individua nel solipsismo, nell’individualismo che non guarda al futuro, la radice della crisi italiana. Anche il nostro sistema politico – dice – ha perso il senso dell’universalità: «abbiamo partiti subnazionali», afferma. La chiesa, essendo sia cattolica, cioè universale, e sia romana, offre una esperienza per l’Italia. L’avere il papato a Roma è un vincolo «di cui la nostra politica estera ha sofferto, ma anche una risorsa mai sfruttata dal nostro governo». «A noi interessano le ragioni sociali della chiesa», conclude Caracciolo, «il patrimonio di conoscenze e di relazioni, l’aspetto linguistico e culturale». Il pericolo per la chiesa è che rinunci in qualche modo alla sua vocazione universale favorendo chiese subnazionali: per cui forse «dalla crisi italiana anche la chiesa può imparare qualcosa».
Per Ferrara, «l’Italia ha bisogno del cristianesimo e della chiesa». Nonostante quello che ne pensava Machiavelli (e diverse persone anche oggi), la chiesa cattolica è consustanziale al processo dell’Italia come paese unito. Ferrara è per una chiesa che fugga dall’introversione, dal dedicarsi solo al culto, ma «combatta la sua battaglia anche nello spazio terreno: di questo ha bisogno l’Italia».
Boffo, in chiusura, da una parte ha invitato gli studiosi ad approfondire meglio le vicende del mondo cattolico nella questione unitaria, dall’altra – di fronte ad un «secolarismo destabilizzante» – invita i cattolici a vivere genuinamente la fede e «il Paese ad accettarsi per quello che è, con le proprie potenzialità generate dalla storia e dalla cultura».
In definitiva, sembra che il Paese chieda alla chiesa l’aiuto per ricostruire la propria identità ed unità. Libera tuttavia, la chiesa, dalla tentazione, sempre all’angolo, di suggestioni neotemporalistiche, ma come offerta gratuita.