Il contributo dei religiosi alla società

Donando un carisma, lo Spirito fa vedere a fondatori e fondatrici le urgenze della Chiesa e della società e li porta a dare risposte concrete.

Al di là delle puntuali risposte ai segni dei tempi la vita religiosa, nel suo insieme, ha sempre registrato una forte valenza culturale e sociale frutto della passione per l’umanità, colta nella sua interezza e concretezza, che si traduce in un’attitudine di servizio capace di occuparsi di ogni espressione autenticamente umana.

Oltre a teologia e filosofia i religiosi si sono resi presenti nei campi dell’agronomia, matematica, astronomia, botanica, allevamento del bestiame, foreste, siderurgia, farmacia, misura del tempo, meteorologia, fisica, elettricità, esplorazioni, studio delle lingue indigene…

Vorrei adesso richiamare, per accenni, soltanto alcuni tra i molti ambiti nei quali è evidente questo servizio alla società reso dalla vita religiosa2.

Campi, boschi e vigneti

Cominciamo dalla terra. Giovanni Crisostomo, parlando dell’umiltà del monaco, ne descrive la vita quotidiana domandandosi: “Quali pensieri di orgoglio potrebbero avere i monaci che passano la vita a scavare la terra, innaffiare, piantare, intrecciare canestri, cucire sacchi, soffrire la povertà, combattere la fame?” (In Matth. Hom. LXXII, 4). Era normale per lui vedere i monaci al lavoro manuale, come la maggior parte della gente di allora curva sui campi.

È l’esperienza dello stesso Gregorio di Nazianzo che, ricordando con nostalgia gli inizi della sua esperienza monastica con Basilio, scrive: “Chi ci darà quei giorni in cui, da mattina a sera, lavoravamo insieme? Quando, ora spaccavamo legna, ora tagliavamo pietre, o piantavamo o irrigavamo alberi?” (Ep. VI).

Basterà ricordare cosa sono stati nella storia dell’agricoltura i monasteri di Bobbio, Pomposa, Farfa, solo per restare in Italia, oppure l’apporto dato alla silvicoltura e alle scienze botaniche da Camaldoli e Vallombrosa.

L’obiettivo non era la civilizzazione, ma la necessità del lavoro per vivere, l’obbedienza a Dio che ha affidato la terra all’uomo, la ricerca della penitenza, la “cura del lavoro ben fatto” come imposto dalla Regola benedettina.

Il frutto però è stato indubbiamente quello di aver bonificato terreni incolti e paludosi, favorito nuove colture e avere insegnato a popolazioni intere le tecniche agronomiche e il senso del lavoro. Che non siano esperienze confinate al passato lo dice quanto continuano a operare anche oggi i missionari in tanti paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.

Con i campi i vigneti. I primi monaci a coltivare la vite furono probabilmente i pacomiani del IV secolo, in Egitto, presto seguiti dai Brasiliani. Ma fu soprattutto l’Occidente a vedere il grande sviluppo della viticoltura. Il vino era un elemento fondamentale nei monasteri, serviva per la messa, per la mensa (l’alimentazione del tempo richiedeva l’assunzione di 2, 4 litri al giorno per persona), per gli ospiti, per i poveri…

Benedettini e Cistercensi furono quelli che elaborarono le migliori tecniche, facendo delle abbazie i centri di produzione del vino miglio e a più buon prezzo in Europa. Il Chianti, il Greco di Tufo, il Cirò, in Italia, sono vini benedettini.

In Francia fu un benedettino, dom Pierre Pérignon (1636-1715), a inventare il tappo per bottiglia e il metodo champenoise per arrestare la seconda fermentazione, producendo nel 1698 il moderno Champagne. Potremmo ricordare vini cistercensi, certosini, agostiniani, premostratensi.

In Italia sono camaldolesi i vini Bardolino, Frascati, Colli Eugenie. È carmelitano il Sauvigny francese. E potremmo continuare con i liquori, dal “Benedettino” alla “Gemma d’abeto”, fino agli amari…

La cura del corpo e della mente

Assieme alla cura della terra, che forniva gli alimenti per il sostentamento proprio e dei poveri, monaci e religiosi si sono dedicati alla cura stessa del corpo e della mente delle persone che vivevano attorno a loro. La storia della carità cristiana, scritta e riscritta in innumerevoli opere monumentali, ho spesso loro tra i protagonisti di primo piano. Le sue modalità sono pressoché infinite.

Per molti secoli, prima che gli stati moderni cominciassero a considerare come proprio dovere il compito dell’assistenza, le istituzioni in favore di poveri, ammalati, carcerati, ignoranti, ragazzi da avviare al lavoro sono state monopolio di monaci e religiosi.

Anche successivamente essi hanno affiancato le iniziative governative o comunque pubbliche, contribuendo anche al loro costante perfezionamento, grazie alla competenza. Nello stesso tempo hanno continuato e continuano a gestire strutture proprie.

Già il primitivo monachesimo egiziano, con Antonio, Pacomio, e successivamente con Basilio e Agostino, si interessa dei poveri, dei malati, dei viandanti, istituendo ospizi e ospedale e assistendo quanti si trovano nelle più diverse necessità. In Occidente i monasteri diventano presto centri di assistenza, con locali adeguati dove i poveri sono lavati, nutrirsi, curati, alloggiati…

Con il movimento francescano e degli altri Mendicanti, i religiosi non soltanto accolgono in casa i bisognosi, ma vanno loro incontro là dove essi vivono, inventando vere e proprie strutture della carità e dell’assistenza, che raggiungeranno la loro massima espansione a cominciare dal 1600, quando il pauperismo prima e il proletariato operaio poi invaderanno l’Europa: nasceranno ospedali, “alberghi dei poveri”, casse di mutuo soccorso, case di ricovero per handicappati o anziani, colonie agricole, istituzioni per difendere giovani artigiani o ragazze sole…

Tutte attività che conosceranno un sempre maggiore sviluppo fino a tutto l’Ottocento, per poi trovare, negli ultimi anni, nuove forme di solidarietà, fatta di condivisione, sostegno, formazione all’autogestione e all’indipendenza economica.

Di pari passo con la cura del corpo, quella della mente. Già il monastero medievale era un centro di studio. Come non ricordare il Vivarium di Casiodoro, la rinascita carolingia grazie all’apposto di Benedetto di Aniane, le biblioteche e gli scrittori che hanno tramandato tutto lo scibile antico e ne hanno prodotto di nuovo, le istituzioni di vere e proprie scuole per i ragazzi?

La cultura antica si muoveva attorno al monastero. Ancora oggi rimaniamo sbalorditi nel visitare le biblioteche di alcuni grandi monasteri, il luogo più bello e più ricco assieme alla chiesa e la sala capitolare. Se poi pensiamo a ciò che hanno significato i collegi dei Gesuiti, dei Barnabiti, le scuole capillari dei Fratelli delle Scuola Cristiane, dei Fratelli Maristi delle scuole, a quelli delle innumerevoli Congregazioni femminile dedite all’insegnamento, ci rendiamo conto dell’immenso patrimonio di cultura accumulato e distribuito dalla vita religiosa.

Tanti religiosi si sono dovuti dedicare a studi accademici nelle più varie discipline, a cominciare dai Domenicani e Francescani che presto iniziano a insegnare nelle università. Non solo, ma i religiosi, istituiscono presto, accanto alle scuole di primo grado e grado superiore, le proprie università, ancora oggi innumerevoli in tutto il pianeta, tuttora rette da Istituti religiosi. L’insegnamento è “opera di carità”, via di testimonianza del Vangelo, strumento perché il cristianesimo possa informare tutte le scienze e la stessa vita umana.

Farmacologia e matematica

L’amore per l’umanità fa dei monaci e dei religiosi anche farmacisti e matematici. In un primo tempo si avvertiva il rifiuto di questi ambiti perché troppo evidentemente espressione della sapienza umana.

La farmacologia, ad esempio, nell’antichità era spesso legata alla magia e la matematica al mondo pagano, da qui la presa di distanza di uno dei grandi iniziatori del monachesimo orientale, Basilio il Grande. Tuttavia egli sa che anche le erbe sono create da Dio per il bene dell’uomo: “Le erbe – scrive, riscoprendo il senso del creato come opera di Dio (“vide che tutto era buono” e poteva essere a servizio all’uomo) – che sono adatte per ciascuna malattia… Sono state prodotte per volontà del Creatore, a nostro vantaggio. Dunque, quelle qualità naturali che vengono ritrovate nelle radici, nei fiori, nelle foglie, nei frutti, nei succhi, o ciò che proviene dalle miniere o dal mare… di tutto ciò… è lecito usare liberamente” (Grandi Regole, 55).

La cura degli ammalati e dei poveri a cui si dedicano i monaci crea le condizioni per l’esperienza e il progresso della tecnica. Il primo monachesimo dell’Egitto e orientale conosce già la creazione di ospedali per ammalati, alloggi per viandanti… e occorrono le medicine per curarli!

Lo stesso principio della bontà del creato e del servizio all’umanità vale nell’accostare la matematica: la scoperta di ogni nuovo principio era la scoperta della grandezza di Dio e dell’ordine con cui aveva creato l’universo. Il suo uso si rivelava anche un valido strumento per aiutare i contadini nella misurazione dei campi, nel tracciare i canali, nel pesare i prodotti…

I primi elementi pratici della matematica sono già presenti nelle “enciclopedie del sapere” di Cassiodoro (475-550), fondatore del monastero di Vivarium in Calabria, come in quelle di Isidoro di Siviglia (560-636) in Spagna, del Venerabile Beda (673-735) in Irlanda, di Rabano Mauro (776-856) abate di Fulda in Germania… Il monaco Gerberto d’Aurillac portò in Francia le procedure di calcolo e le cifre indiane consentendo la diffusione dell’abaco in tutta Europa.

Nei secoli XII-XV, con la traduzione delle opere arabe e il balzo in avanti delle conoscenze matematiche, si distinguono Domenicani e Francescani. È rimasto famoso Luca Pacioni da Borgo san Sepolcro (1445-1517), francescano conventuale, che svolse intensa attività di insegnamento a Venezia, Perugina, Zara, Roma, Milano, Pisa, Bologna e ci ha lasciato opere come Summa de Arithmetica, Elementi di Euclide, De divina proportione.

Nel mondo anglosassone si segnala, fra gli altro, Riccardo di Wallingford, benedettino; in Francia il domenicano Vincenzo di Beauvais, nel mondo germanico il francescano Alberto di Sassonia, primo rettore dell’università di Vienna e il cistercense Giovanni di Gmunden.

E potremmo proseguire lungi i secoli con Francesi Maurolico, benedettino del 1500, Bonavetura Cavalieri dell’Ordine dei Gesuati di san Girolamo nel 1660, la cui fama è legata dalla teoria degli indivisibili. Troviamo poi insigni matematici tra Gesuiti, Oratoriani, Camaldolesi (Guido Grandi), Minimi, Barnabiti, Scolopi, Teatini…

Esploratori ed etnologi

L’esplorazione della terra e lo studio delle culture sconosciute, ulteriore campo nel quale si sono distinti i religiosi, è anch’esso frutto della passione per l’annuncio del Vangelo e dell’amore verso i nuovi popoli a cui si rivolgevano, così come dal desiderio di mettere a conoscenza delle loro scoperte quanti li avevano inviati in missine e davano loro il proprio sostegno.

Le più antiche relazioni sui Mongoli (XIII secolo) sono dei francescani Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo da Rubrouck, che offrono un quadro minuzioso e articolato delle varie tribù nomadi che popolavano l’immenso impero. Lo stesso farà Giovanni da Montecorvino e Oderico da Pordenone per l’India e la Cina.

Sarà poi la volta di Matteo Ricci e degli altri Gesuiti che compileranno nel 1655 il Novus Atlas Sinesis e amplieranno le osservazioni scientifiche in Manciuria, in Corea, in Giappone. L’India, con le sue lingue e culture, sarà ancora oggetto di studio di Roberto de’ Nobili, così come il Tibet, sempre da parte dei Gesuiti. I Missionari di Parigi contribuiranno alla conoscenza del Tonchino, i Barnabili della Birmania, i Teatini di Giava, Borneo e Sumatra, i Gesuiti del Bengala, Butan, Nepal.

Ovunque trascrivono lingue, compilano grammatiche, dizionari, approfondiscono tradizioni religiose, usi e costumi, comparandoli con altri ambienti culturali…

Lo stesso avviene per l’America Latina, l’America settentrionale. Determinante l’apporto dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, nell’Ottocento e Novecento, per lo studio e la conservazione di lingue e culture delle tribù indiane del Canada e degli Inuit.

Fra tutti si distingue Emilio Petitot, che esplorò le regioni del Nord-Ovest redigendo cartografie, descrivendo con molta dura culture di popolazioni eschimesi, in particolare i Tchiligh, oggi scomparsi, raccogliendo le loro tradizioni e leggende, studiando lingue e dialetti.

Dal 1600 anche l’Africa e successivamente l’Australia e Oceania, diventano luogo di esplorazione e di studio da parte di un gruppo sempre più numeroso di Istituti religiosi.

Tralasciando i campi più scontati, anche se forse i più importanti, come quelli delle scienze filosofiche, teologiche, pedagogiche, in una parola del campo umanistico, sarebbero ancora tantissimi gli ambiti nei quali i religiosi hanno offerto e continuano ad offrire i propri contributi: architettura, pittura, musica, letteratura, storiografia, politica, economia…

Può sembrare strano che persone, le quali hanno lasciato tutto per servire Dio nella sequela di Cristo, si ritrovino immerse così profondamente nelle realtà umane. Questo fatto è la testimonianza della circolarità dell’amore di Dio e del prossimo, un unico indivisibile amore, anche se dalle differenti manifestazioni.

Cercando Cristo, i religiosi trovano i poveri e andando verso i poveri incontrano Cristo. La preghiera li porta ad andare verso Cristo che si è identificato con ogni uomo, e dedicandosi al servizio dell’uomo sentono di pregare.

La vita “interiore” ha sempre sentito il bisogno di esprimersi in opere “esteriore” e queste, lungi da essere mera filantropia, si sono alimentate alla visione evangelica e hanno condotto al Vangelo: nessuna dicotomia tra spiritualità e impegno per l’umanità.

 

1 Ad esempio, Il Vangelo si fa cultura in Unità e Carismi 3-4 (2005) 4-8; Il contributo dei carismi religiosi alla società in Unità e Carismi 5 (2007) 15-21.

2 Si possono vedere, tra le innumerevoli voci attinenti del Dizionario degli Istituti di Perfezione (Edizioni Paoline): Agricoltura (vol. 1, cc. 435-450), Scienze, esplorazioni e tecniche di vita materiale (vol. 8, cc. 1068-1115), Storia della carità (vol. 9, cc. 252-285), Studi (vol. 9, cc. 443-527). 

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