Il contributo dei carismi alla società
Per illustrare il contributo dei carismi religiosi alla società occorrerebbero tutti i duemila anni di storia della Chiesa. I carismi di vita consacrata sono infatti la progressiva incarnazione del Vangelo nella storia.
Come il Verbo si è fatto carne ed è passato in mezzo a noi facendo del bene a tutti (Atti 10, 38), così coloro che lo seguono nella radicalità evangelica continuano la sua presenza nell’umanità di ogni tempo e di ogni luogo e rendono vivo e operante il suo amore creativo, permeando la società di divino.
Ad una prima impressione esterna, superficiale, verrebbe da pensare che l’elemento “fuga mundi” estranei il religioso dalla società. In effetti il monachesimo ha lasciato il consorzio umano per ritirarsi nei deserti, sulle colonne, nelle grotte, sulle isole inaccessibili, sulle montagne.
Chi conosce storia e spiritualità sa invece l’influsso esercitato dai solitari sul mondo loro contemporaneo. È piena di verità l’asserzione di Evagrio Pontico: “Il monaco è colui che, separato da tutto, è unito a tutti”.
All’inizio del secondo millennio le nuove forme di vita consacrata riportano i religiosi nel cuore della città, in mezzo alla gente, per condividerne il cammino.
Così, nell’immaginario collettivo, alle persone austere e lontane si sovrappongono i religiosi intenti a giocare con i ragazzi negli oratori, a insegnare nelle scuole, a lavorare nelle parrocchie, dediti all’evangelizzazione nei modi più vari e ai più differenti ministeri di carità.
Le suore con i bambini negli asili, accanto ai malati nelle corsie degli ospedali, attente alle famiglie in necessità, oppure in parrocchia dedicate alla catechesi, al servizio liturgico, alla pastorale giovanile…
Cercherò di illuminare questa presenza operosa della vita consacrata nella società, in tre momenti: prima un rapido sguardo ai riflessi sociali della vita consacrata lungo i secoli, poi più specificamente alla città di Roma e infine ad alcune linee di luce suggerite da Chiara Lubich.
Una grande storia da raccontare
Il monachesimo benedettino, nelle sue molteplici forme storiche, ha contribuito notevolmente a forgiare la cultura medievale, esprimendosi in architettura, pittura, poesia, musica, letteratura.
Lo stesso possiamo dire dei Movimenti mendicanti, dei Chierici Regolari. Francesco d’Assisi ha un posto privilegiato nella nascita della lingua italiana. L’intero movimento francescano ha lasciato la sua impronta nell’architettura come nella pittura.
Si conosce anche un’architettura cistercense e un’arte gesuitica. Teresa d’Avila è da collocarsi tra i massimi esponenti della poesia spagnola, così come gli autori della Scuola spirituale francese tra quelli della cultura del “Grand siècle”.
Con la traduzione della Bibbia Cirillo e Metodio hanno dato forma alla lingua slava, così come Lutero a quella tedesca.
Dal punto di vista economico potremmo ricordare come il sistema curtense del medioevo sia legato al modello dell’abbazia. I mendicanti hanno dato vita ai monti di pietà. Gli ospedali pubblici, le scuole, gli istituti di assistenza sono il più delle volte creazioni se non “invenzioni” degli ordini religiosi.
L’influsso politico è ugualmente considerevole e spesso determinante. “Un secolo prima della Magna Charta d’Inghilterra – ha scritto ad esempio Leo Moulin – esisteva il Capitolo Generale di Citeaux. Sono stati i monaci, insomma, ad aver inventato, gettando le basi dello spirito democratico”.
Potremmo pensare agli innumerevoli contributi dei religiosi nei più svariati campi della cultura. Le istanze del pensiero eugenetico sociologico-sociobiologista con Gregorio Mendel; l’utopia sociale con Gioachino da Fiore, Francesco d’Assisi, Tommaso Campanella, Savonarola, Giordano Bruno; i diritti umani con Da Vitoria, Barlomeo de las Casas, Suarez…
Anche l’impegno sociale e sul terreno della pace, del creato, della vita e della salute, della missione, si snodano in gran parte su percorsi religiosi.
Una simile incidenza culturale è da addebitarsi anche al fatto che i membri sia degli ordini monastici come dei successivi movimenti religiosi erano generalmente persone colte. Ecco perché tra i religiosi troviamo storici, letterati, geografi, antropologi, matematici, astronomi, scienziati…
Tuttavia la loro incidenza culturale è legata soprattutto al carisma e alla spiritualità di cui erano portatori, che li spingeva, a secondo della diversa grazia, ad operare in favore dell’uomo colto nella sua interezza e concretezza, in una attitudine di autentico servizio, che li ha portati ad occuparsi di ogni espressione autenticamente umana.
La vita “interiore” ha saputo esprimersi in opere “esteriore” ad essa adeguate. Si potrebbe agevolmente leggere la storia dei carismi a partire dalle opere di carattere sociale e culturale che da esse sono sorte. Apparirebbe evidente l’assenza dell’apparente dicotomia tra la spiritualità e impegno per l’uomo.
Guardando alla storia passata, verrebbe da dire, con santa Teresa di Gesù, “Che sarebbe il mondo se non ci fossero i religiosi?” (Vita, 32,11).
Ma noi non abbiamo soltanto una grande storia da raccontare, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II (cf. VC 100). A noi il compito di “fare” storia. È la sfida che ci sta davanti.
Per non rimanere nel generico vorrei rivolgere l’attenzione sulla vita consacrata nella città di Roma, per la sua vocazione tutta particolare: è una delle tante Chiese locali e nello stesso tempo il centro della Chiesa. La vita consacrata riverbera questa duplice situazione ecclesiale.
La città di Roma
A Roma si concentra la maggior parte delle curie generalizie degli Istituti religiosi maschili e femminili (circa 400) che hanno, come primo scopo, quello di coordinare e guidare la vita dei loro membri nel mondo intero. Vi sono poi case provincializie e procure generali.
A Roma convergono studenti religiosi da ogni nazione e da Roma ripartono per i loro Paesi. Le case di formazione sono 50 maschili e 150 femminili.
Questi due fattori dilatano la vita della città e possono contribuire a mantenerla costantemente aperta sulle istanze, problematiche e ricchezze della Chiesa universale. La vita consacrata può contribuire in maniera notevole a tenere vivo il carattere cattolico della Chiesa romana.
A Roma poi opera, nella Chiesa locale, un gran numero di religiosi e religiose. Complessivamente circa 30.000 unità, più i membri degli Istituti secolari di cui non si conosce il numero. 500 le monache si clausura. Su 334 parrocchie romane, 137 sono affidate ai religiosi che vi destinano circa 600 sacerdoti, più alcuni loro collaboratori ivi residenti.
Alle parrocchie bisogna aggiungere le numerose rettorie di chiese nel centro storico, aperte al culto, con una presenza presumibilmente di altri 200 sacerdoti religiosi. Quindi la presenza capillare delle religiose e religiosi nelle scuole, negli istituti di cura, nei servizi ai poveri, agli immigrati, agli emarginati…
Che dire poi delle istituzioni accademiche? La quasi totalità sono rette dai religiosi: Gregoriana, UPS, Auxilium, Angelicum, Antonianum, Sant’Anselmo, Istituto orientale, Teresianum, Camillianum… La maggior parte degli istituti di specializzazione della Lateranense sono dei religiosi: Alfonsianum, Claretianum, Augustinianum.
Non finiremmo più di elencare la forte presenza della vita consacrata in città.
Quale sarà dunque il contributo specifico della vita consacrata in una città come Roma e, analogamente, in tutte le città, nella società intera?
Il magistero di Chiara Lubich, a cui l’Istituto Claretianum ha concesso il dottorato in teologia della vita consacrata, avrà una parola da offrirci anche in questo ambito?
Linee di luce
Sarebbe ricco di suggestioni ripercorrere l’idea di città maturata dalla fondatrice dei Focolari, a cominciare da quando, agli inizi del Movimento, la sua azione in favore dei poveri aveva come obiettivo quello di risolvere il problema sociale della piccola città di Trento.
Alle convivenze estive sulle Dolomiti, dove convenivano persone d’ogni estrazione sociale, diede presto il nome di Mariapoli, Città di Maria, perché vi scorgeva in bozzetto una società nuova: la città celeste che si sarebbe incarnata in vere città terrene. Al giornale del Movimento diede nome “Città Nuova”.
Dio, l’oro della città
Nel 1961, guardando la cittadella monastica benedettina di Heinsideln sognò un’analoga cittadella, ma con industrie, centri commerciali, sportivi, scuole…: una città moderna e viva.
Il sogno divenne presto realtà: prima Loppiano, poi una trentina di altre cittadelle, in tutti i continenti, che dicono, come una profezia, quello che dovrebbe essere una città nuova, una città tutta d’oro, come leggiamo in uno scritto del 19581.
Parlando ai religiosi, più volte Chiara ha ricordato che il loro ideale è Dio. “Dio, Dio, Dio, questo – diceva – il vostro tesoro, questo quello che dovete proclamate con le parole e con la vita: Dio; Dio dato in maniera carismatica”.
Non sarà forse questo il primo fondamentale contributo che la vita consacrata è chiamata ad offrire alla città? Riportarvi Dio, il “sole” della città, che solo può dare senso al consorzio umano.
La “risurrezione di Roma”
Il primo scritto organico di Chiara sulla città.
Risale all’ottobre 1949 e riguarda proprio la città di Roma. Era arrivata in città un anno prima ed era rimasta delusa perché aveva in cuore tutta un’altra idea della Roma cristiana:
“Se io guardo questa Roma così com’è, sento il mio Ideale lontano come sono lontani i tempi nei quali i grandi santi e i grandi martiri illuminavano attorno a loro con l’eterna Luce persino le mura di questi monumenti che ancora s’ergono a testimoniare l’amore che univa i primi cristiani”.
Non si lascia tuttavia scoraggiare da questo primo moto di delusione perché pensa che anche Cristo – così continua lo scritto – “guardava il mondo così come lo vedo io, ma non dubitava. Insaziato e triste per il tutto che correva alla rovina, riguardava pregando di notte il Cielo lassù e il Cielo dentro di sé, dove la Trinità viveva ed era l’Essere vero, il Tutto concreto, mentre fuori per le vie camminava la nullità che passa. E anch’io faccio come lui…”.
Lo sguardo di fede opera una realtà nuova attorno a sé e si traduce in vita e in proposta di vita. La personale trasformazione nel divino traduce la trasformazione del sociale in divino, perché Cristo torna a vivere nella città:
L’ulteriore realtà di cui Chiara prende coscienza è che lo sguardo di fede sull’umanità è capace di trasformare l’umanità e di generare la fraternità, la comunità, e Cristo che vive in essa influìsce a sua volta in maniera efficace sulla società:
Perché questo accada – ecco un ulteriore passo nella dinamica per la “risurrezione di Roma” – occorre che l’unità della comunità che vive e opera sia costantemente all’altezza della sua vocazione e della sua missione:
Più tardi Chiara ha commentato queste sue ultime affermazioni scrivendo:
Il “fuoco” nella città
Del 1958 un altro testo dove riecheggia lo stesso desiderio di vedere la rinascita delle città.
È intitolato, significativamente, Se in una città s’appiccasse il fuoco3.
Per raggiungere questo obiettivo, spiega, c’è un segreto:
Dalla città al mondo intero
Leggiamo, infine, uno scritto programmatico intitolato Una città non basta, dove Chiara offre un organico piano strategico per conquistare una città “all’amore di Dio” e per “trasformare un paese in Regno di Dio”.
In esso possiamo trovare delle linee che si addicono pienamente alle nostre comunità. In particolare mi sembra si possano individuare sette passi concreti per una strategia fattibile.
Primo passo: compattare la comunità e rimotivarla costantemente nel suo ideale evangelico.
Non è questo che una comunità di persone consacrate è chiamata a fare? Non è così che è nato il primo gruppo attorno al fondatore e alla fondatrice?
Secondo Perfectae caritatis la comunità religiosa è per sua natura “una vera famiglia adunata nel nome del Signore”, che, “con la carità di Dio diffusa nei cuori per mezzo dello Spirito Santo”, “gode della sua presenza” (n. 15).
La nostra non è presenza di persone singole, ma di gruppi uniti da un preciso carisma, capaci quindi di creare, in una città spesso anonima e indifferente, il senso della fraternità, della solidarietà, della qualità dei rapporti.
Secondo passo: concordare il progetto con i pastori locali.
È quanto leggiamo in Mutuae relationes e che attende ancora la sua piena attuazione.
Nella loro ultima visita ad limina i vescovi della diocesi di Roma scrivevano che occorre “incrementare sempre meglio tra Diocesi e Istituti religiosi la reciproca conoscenza, la comprensione, la corresponsabilità, l’integrazione nella prospettiva dell’unica Chiesa, che sotto la guida dell’unico Pastore, il Vescovo e Papa, serve al ministero della salvezza del Popolo di Dio che è in Roma, per testimoniare la sua missione perenne e universale nella verità e carità davanti a tutto il mondo”.
Terzo passo: cominciare dagli ultimi.
È il cammino che tante delle nostre comunità seguono con generosità e convinzione, nell’amare e servire Gesù negli ultimi.
È un servizio che suppone la grande varietà carismatica e quindi una infinita modalità di interventi mirati e specializzati che, proprio perché mossi e animati da un carisma, sono capaci di immettere nel tessuto sociale le realtà evangeliche e fermentare la città con i valori cristiani.
Spesso non mancano i servizi sociali. Quello che manca è un’anima, l’attenzione amorevole per la persona. È questo l’apporto specifico della vita consacrata nella varietà della sua presenza e dei suoi interventi.
Quarto passo: affidare tutto nella preghiera.
Basterà ricordare l’invito dell’Esortazione apostolica Vita consecrata alla “difficile arte dell’unità di vita, della mutua compenetrazione della carità verso Dio e verso i fratelli e le sorelle”, grazie alla quale si sperimenta “che la preghiera è l’anima dell’apostolato, ma anche che l’apostolato vivifica e stimola la preghiera” (n. 67).
Quinto passo: parlare.
Il nostro parlare, la nostra evangelizzazione, è per sua natura frutto dell’esperienza di vita, è sempre una testimonianza: “Noi vi annunciamo, dovremmo poter dire con la prima lettera di Giovanni, quello che abbiamo visto, udito, toccato del Verbo della vita” (cf. 1 Gv 1, 1-3).
Sesto passo: ravvivare l’idealità.
L’annuncio non è soltanto il frutto del vissuto, e quindi una testimonianza; esso è legato alla testimonianza per eccellenza, il martirio.
Anche questa è una realtà di cui la vita consacrata ha dato e continua a dare prova. Non possiamo poi dimenticare che accanto al martirio del sangue già l’antico monachesimo ha posto quello dell’ascesi.
La fedeltà all’unico Amore, leggiamo in Vita consecrata, “si mostra e si tempra nell’umiltà di una vita nascosta, nell’accettazione delle sofferenze per completare ciò che nella propria carne ‘manca ai patimenti di Cristo’ (Col 1, 24), nel sacrificio silenzioso, nell’abbandono alla santa volontà di Dio, nella serena fedeltà anche di fronte al declino delle forze e della propria autorevolezza”, così come nella “dedizione al prossimo, che le persone consacrate vivono non senza sacrificio nella costante intercessione per le necessità dei fratelli, nel generoso servizio ai poveri e agli ammalati, nella condivisione delle difficoltà altrui, nella sollecita partecipazione alle preoccupazioni e alle prove della Chiesa” (n. 24).
Settimo passo: il mondo intero!
Siamo tornati alla vocazione universale della Chiesa di Roma, così fortemente testimoniata dalla vita consacrata che da qui irradia nel mondo intero.
La vita consacrata può confrontarsi su questo programma così vasto, concreto e profondamente evangelico, proposto da Chiara, e da esso può lasciarsi ispirare.
Più di 30.000 persone consacrate, una città nella città, potrebbero davvero rifare il volto di Roma, contribuire ad attuare la “risurrezione di Roma”.
Bisognerà che le 1810 comunità religiose, assieme ai 61 istituti secolari e società di vita apostolica serrino le fila e concordino un nuovo rapporto di comunione tra di loro.
Il segreto è che il “Conquistatore del mondo” sia sempre in mezzo a noi.
NOTE
1 C. Lubich, Una miriade di perle splendide, in Scritti Spirituali/1, pp. 72-73.
2 Id., in Nuova umanità 17 (1995/6) 5-8.
3 Id., in Scritti spirituali/1, pp. 70-71.