Il contatto, l’enzima della relazione

Dall'incontro tra le necessità personali e quelle del mondo esterno allo scambio continuo di informazioni. Le ragioni e i modi del relazionarsi per l'ultimo appuntamento conLabirinti familiari
Labirinti familiari

L’altro è lo specchio in cui vediamo noi stessi. Ci accorgiamo di noi confrontandoci, e per poter giungere a questo confronto dobbiamo, tuttavia, essere disposti a prendere contatto con l’altro ovvero a incontrarlo. Per l’ultimo appuntamento con Labirinti familiari – il libro edito da Città Nuova -, un viaggio tra le modalità e le ragioni che spigono gli uomini a relazionarsi.

 

Nell’era del cyber-spazio il contatto è diventato anch’esso virtuale. Ci s’incontra all’interno di uno spazio che non esiste, con corpi che non esistono e sicuramente possiamo affermare che ci contattiamo (…). Il contatto non vuol dire necessariamente il toccarsi, ma l’azione del contattare, cioè dell’incontrare l’altro. Potrei toccare fisicamente l’altro, ma non avere nessun tipo di desiderio di agire l’incontro, come quando siamo costretti sulla metropolitana a stringerci l’un l’altro perché c’è poco spazio. In questo caso ci tocchiamo e basta. Potremmo, viceversa, contattare un amico chiamandolo al telefono e pur non toccandolo, incontrarlo (…).

 

«La celebre scena raffigurata sulla volta della Cappella Sistina della creazione di Adamo è sicuramente, almeno dal punto di vista iconografico, la più ricca (nonché eminente sia per la levatura dell’artista che per l’alto soggetto religioso) fonte di riflessione sul tema del “contatto”. La lettura tradizionale dell’opera vede la figura di Dio in un’esplosione di maestà nell’atto di trasmettere la prima scintilla vitale al corpo di Adamo, appunto attraverso un imminente contatto delle rispettive dita. Recentemente, anche grazie alla pubblicazione dell’articolo nel quale il neurologo Frank Lynn Meshberger (1990) ha descritto le sorprendenti corrispondenze da lui notate tra l’anatomia di un cervello umano (visto in sezione) e la rappresentazione michelangiolesca, si sono fatte avanti altre stimolanti riletture, neanche troppo fantasiose, se consideriamo le notizie sugli studi anatomici di Michelangelo nonché sulla sua complessa misticità.

 

«Quella alla quale siamo più affezionati è quella della “creazione continua”, che oppone alla visione della scena come azione istantanea e risolutiva del creatore una lettura dinamica e “intelligente” (nel senso etimologico del termine intelligere) di un’azione reciproca tra uomo e “Dio-cervello”. Il movimento delle dita non è solo di Dio verso l’uomo, ma anche dell’uomo verso Dio, come fossero dentro a una co-creazione, un’azione reciproca tra un uomo in evoluzione e Dio. La co-creazione caratterizza il contatto con il mondo (…).  Quello che mi arriva dall’altro mi trasforma e io, cambiando a mia volta, trasformo l’altro. È una danza continua in cui ciascuno può introdurre cambiamenti di figure, ma seguendo sia la predisposizione dell’altro che la musica che ci avvolge.

 

«Proprio per mezzo di questo co-creare non possiamo risalire alle colpe insite in una relazione. Perché mio figlio si ribella alla mia autorità? Perché mio marito non mi guarda più? Possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione? (…) Vuol dire, in pratica, essere capaci di riconoscere nell’altro l’intenzione profonda di contattarci, di stare con noi, malgrado ciò avvenga attraverso comportamenti che possono essere l’espressione della propria individualità fatta anche di umane imperfezioni. Quando l’altro sbraita e ci accusa di non sostenerlo a sufficienza, di non aiutarlo, non solo sta esprimendo rabbia, ma sta mostrandoci il proprio limite, la propria incapacità a farcela senza di noi. Riconoscere le ferite dell’altro, e non soltanto le proprie, è essenziale per crescere non solo come coppia, ma individualmente (…).

 

«Poter parlare in termini di “io” e “tu” è un passo in avanti che si sta facendo verso l’evoluzione personale, la crescita verso un contatto in cui tu e io siamo presenti nella relazione, ma non ci confondiamo nel “noi” indifferenziato. Il confronto che ci propone, ogni giorno, la relazione è di crescere con e attraverso l’altro, ma rimanendo noi stessi. Ritornando alla scena della Cappella Sistina, Dio e Adamo sono protesi verso un contatto pelle a pelle, ma tanto Dio quanto Adamo sono perfettamente distinguibili, non sono un corpo solo, ma due unicità che stanno venendo in contatto. Non è un caso che questo contatto avvenga attraverso l’epidermide delle dita, superficie mediante la quale l’intelletto umano comprende e riplasma il creato.

 

«È attraverso la pelle che sperimentiamo e cambiamo il mondo, nel senso che toccando l’ambiente ne facciamo esperienza. La pelle è anche il nostro confine, ciò che ci permette di differenziarci. Gli psicotici sono definiti “senza pelle” proprio per la loro difficoltà, se non impossibilità, a differenziarsi e sapere chi sono. La pelle rappresenta il confine in cui tu e io possiamo incontrarci, senza confonderci. Il momento in cui possiamo incontrare il diverso da noi e scambiare con lui ciò che arricchisce la relazione, rappresenta il punto in cui si comincia a crescere».

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