Il confidente di tutti

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Chi arriva ad Hasselt, capoluogo del Limburgo nel nord-est del Belgio, si trova in una graziosa città a misura d’uomo (50 mila gli abitanti), diventata oggi una meta per chi segue l’ultima moda. Per le sue vie, negli ultimi anni era facile imbattersi in un anziano piuttosto massiccio, il tipico pensionato, che veniva fermato spesso dai passanti. Di quei numerosi colloqui all’angolo d’una strada lui stesso, sorridendo, me ne raccontò uno avuto con un ex-detenuto: era accompagnato dalla moglie, la quale dedusse, dalla familiarità della conversazione, che quello sconosciuto era stato un compagno di prigionia del marito. Si trattava invece di mons. Paul Schruers, vescovo emerito di quella diocesi. Quest’uomo, che s’era fatto piccolo con i più piccoli, aveva una predilezione per i detenuti, che lo ricambiavano con affetto: di qui le sue frequenti visite in carcere, specie nei giorni di grande solitudine come il Natale. La sera di Capodanno, poi, era disponibile al telefono per chiunque avesse bisogno di ascolto. Una volta seppi da lui che aveva avuto sette incontri e quattro confessioni nel breve tragitto tra la residenza per anziani dove abitava e la cattedrale dove si recava per la messa del mattino. Molti anni prima, nello stesso quartiere, aveva fatto una di quelle esperienze che risultano fondamentali per un giovane. Spinto dalla madre a far visita ad una persona anziana, lui che avrebbe preferito andare a giocare a calcio, obbedì per poi tornare a casa piuttosto deluso: il suo atto di carità gli aveva fruttato un semplice pezzo di cioccolata. Quando lo riferì alla madre, si sentì fare un discorsetto sulla vera generosità che fu probabilmente l’incentivo per scoprire la ricchezza dei rapporti e la gioia derivante dal dare evangelico. Fra questi due episodi c’è tutta una vita spesa nelle Fiandre, ancora molto impregnate di cultura cattolica in quel tempo in cui non era iniziato il processo di secolarizzazione che in pochi decenni avrebbe portato a una situazione ben diversa. Una evoluzione che il vescovo Schruers visse cercando di diventare sempre di più un uomo evangelico. Autore prolifico, oratore di talento, mise le sue numerose doti (tra cui anche quella artistica, ereditata da un padre pittore) a servizio di una missione che voleva radicata nella vita della Parola. Legato da sempre all’Azione cattolica giovani, la sua spiritualità aveva molte radici. Fu vicino al modo francescano di vivere, sensibile al mondo operaio, e pertanto legato a vari preti operai. Ricordo averlo incontrato per la prima volta ad un convegno estivo dei Focolari nel lontano 1970, appena consacrato vescovo ausiliare. Pochi mesi dopo, sentendo il racconto di un giovane focolarino che aveva venduto la sua unica ricchezza, una collezione di dischi, per dare il ricavato ad una opera di solidarietà in Africa, non volle essere da meno: la sera stessa, infatti, decise di devolvere per una iniziativa della Chiesa belga tutto quanto possedeva sul suo conto in banca. Quel giorno lo avrebbe ricordato come la prima volta in cui forse si era sentito appieno vescovo. L’adesione alla spiritualità dei Focolari fu graduale, ma convinta. Talvolta – ebbe a confidarmi – si discute tra noi vescovi se sia cosa buona che un vescovo, che dovrebbe essere un uomo per tutti, abbracci una spiritualità particolare. Ma a mio avviso bisogna avere un porto d’attracco, è utile una spiritualità per la propria vita personale perché aiuta ad aprirsi anche a tutte le altre . Tale convinzione l’aveva maturata a contatto con il suo più caro amico, il vescovo di Aquisgrana Klaus Hemmerle, co-fondatore con Chiara Lubich dei vescovi amici dei Focolari, una realtà che i papi da Paolo VI in poi hanno incoraggiato inquadrandola nell’idea conciliare che i vescovi sono invitati a costruire sempre più rapporti di collegialità effettiva ma anche affettiva. Instancabile animatore di questi incontri di vescovi nella regione belga-olandese ma anche nel continente africano, mons. Schruers operò in modo da suscitare la riconoscenza della Conferenza episcopale belga. Ai suoi funerali, avvenuti il 2 settembre scorso, una folla eterogenea di politici e detenuti (questi ultimi collegati in diretta televisiva), malati e giovani, credenti e no, belgi e numerosissimi amici venuti da vari continenti ha testimoniato la rete di rapporti da lui tessuti in vita. Per l’occasione il card. Danneels, suo grande amico, lo ha descritto ai giornalisti come un uomo saggio e buono, la cui autorevolezza derivava dalla profonda sintonia tra parola e vita. Per settimane, in tutta la diocesi ed oltre, la gente che aveva incontrato andava rievocando le esperienze narrate da lui, per il quale vivere era il Vangelo. Questo vescovo, missionario nell’anima, dopo il pensionamento aveva progettato di trascorrere gli ultimi suoi anni nel lacerato Burundi, tra i suoi fratelli hutu e tutsi: un sogno al quale, in seguito al primo infarto celebrale, aveva dovuto rinunciare per tramutarlo in un soggiorno prolungato presso la cittadella dei Focolari in Belgio. Lì, una volta guarito, tornò poi regolarmente, avendo scelto di spendere le ultime forze per accogliere le confidenze di chiunque. Davvero nella sua diocesi nessuno custodì meglio di lui i segreti di migliaia di storie, sentite durante più di cinquantatre anni di ministero, da vero grande fratello di tutti.

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