Il compito di comunicare speranza
La speranza è il grande tema attorno a cui si sviluppano i cammini pastorali dell’Anno Santo 2025. A tutti coloro che si occupano di comunicazione, è affidato il compito di trasmettere la speranza, di coltivarla nel cuore per poi poterla condividere. Si guarda al cuore, sede dei sentimenti, dei desideri, delle passioni, luogo in cui nasce la speranza da portare agli altri.
«La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta», aveva scritto papa Francesco già nel Messaggio per la 51ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. È l’invito ad allargare il cuore secondo la dimensione della speranza.
Ma in che cosa bisogna sperare? «Per noi cristiani la speranza è una persona ed è Cristo – suggerisce la Nota diffusa nei giorni scorsi -. Ed è sempre legata ad un progetto comunitario; quando si parla di speranza cristiana non si può prescindere da una comunità che viva il messaggio di Gesù in modo credibile a tal punto da far intravedere la speranza che porta con sé, ed è capace di comunicare anche oggi la speranza di Cristo con i fatti e con le parole».
Comunicare speranza diventa, dunque, un atto “rivoluzionario”, specialmente in quelle situazioni che vengono definite come “senza speranza”, perché la speranza è la virtù del domani, è la fiducia che dona uno sguardo nuovo sul mondo e sulle persone.
Nel brano della Lettera di Pietro, richiamato nel tema del Messaggio, si sottolinea la chiamata a rendere ragione della speranza con “dolcezza”, “rispetto” e “retta coscienza”. È possibile tutto ciò quando nel cuore dell’uomo abitano anche sentimenti come “competizione”, “contrapposizione”, “volontà di dominio”? Mentre, nella Nota della Santa Sede, si fa cenno ai talk show televisivi e alle guerre verbali sui social, si evidenzia – quasi come un antidoto – la mitezza, virtù capace di conquistare i cuori. «La mitezza è conquista di tante cose. La mitezza è capace di vincere il cuore, salvare le amicizie e tanto altro, perché le persone si adirano ma poi si calmano, ci ripensano e tornano sui loro passi, e così si può ricostruire con la mitezza» (Francesco, Udienza generale, 19 febbraio 2020).
In questo modo, allora, comunichiamo la speranza, cuore della giustizia e della pace. La mitezza evangelica, infatti, consente allo Spirito Santo la possibilità di operare e rigenerarci a una «vita nuova», fatta di unità e di amore.
Nel modo di parlare, di descrivere gli avvenimenti, lavorando insieme, condividendo progetti, è possibile opporsi in modo pacifico alla violenza e alla prevaricazione, restituire bellezza alla vita e contribuire a realizzare un mondo fraterno, in cui venga rispettata la dignità di ogni persona. Mentre le guerre fanno rumore e atterriscono gli animi, ci sono luoghi e terre che si possono conquistare pacificamente: «La “terra” da conquistare con la mitezza è la salvezza di quel fratello di cui parla lo stesso Vangelo di Matteo: “Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Mt 18, 15). Non c’è terra più bella del cuore altrui, non c’è territorio più bello da guadagnare della pace ritrovata con un fratello. E quella è la terra da ereditare con la mitezza!» (Francesco, Udienza generale, 19 febbraio 2020).
__