Il Colosseo racconta
II più visitato monumento d'Italia, che ora espone sé stesso in una spettacolare mostra sui gladiatori, da emblema di crudeltà sanguinaria a simbolo di pace.
Lui, così parte del panorama cittadino e così preso di mira dagli obiettivi fotografici. Rifugio di felini e diseredati, luogo ideale per gridare al vento una protesta, pedana per l’ultimo volo di un disperato, oppure sfondo alla solenne Via crucis del venerdì santo. Ecco il Colosseo a cui avevamo fatto l’abitudine. E ai nostri giorni? Abbiamo ammirato la sua ricostruzione digitale nel kolossal di Ridley Scott Il gladiatore. Fino all’evento di quest’anno: la spettacolare mostra Gladiatores (fino al 31 ottobre), allestita – come l’altra del 2002, Sangue e arena, sullo stesso tema – negli ambulacri dell’anfiteatro, a ripercorrerne la storia assieme alle imprese di quanti combatterono nei popolarissimi ludi (giochi) gladiatori e nelle venationes (cacce alle fiere).
Un titolo che rievoca antiche stragi, certo, ma senza volere richiama purtroppo anche quelle che stanno macchiando le moderne arene calcistiche. Ecco perché preferiamo ricordare un’altra immagine del Colosseo: quando l’abbiamo visto accendersi di luce per ogni condannato a morte graziato, o in occasione di particolari eventi giubilari. La novità poi degli spettacoli teatrali e musicali che ha ospitato grazie al ripristino di parte del piano dell’arena, ha aperto la strada ad un suo utilizzo, questa volta incruento. Insomma l’Anfiteatro Flavio – questo il suo nome “ufficiale” – sta rinnovando la propria popolarità: non solo quale massimo monumento della romanità e pegno dell’“eternità” dell’Urbe, ma anche quale simbolo di pace e di incontro tra popoli diversi.
Ma quanti sanno che le sue fondazioni sorgono sopra una gigantesca “zattera” di calcestruzzo e altri materiali che rialzarono il livello della valle lì un tempo esistente? O che tra le sue pietre – rifugio di una discreta fauna – sopravvivono addirittura specie vegetali non locali, le cui antenate risalgono probabilmente ai semi trasportati nel vello delle bestie esotiche destinate alle venationes, o alle erbe di cui si nutrivano? Una vegetazione che era ancor più rigogliosa nei secoli dell’abbandono del monumento, prima della “deforestazione” attuate nel 1871. Oppure che gli scavi ottocenteschi condotti nei sotterranei dell’arena misero in luce parti delle macchine sceniche e delle pavimentazioni lignee perfettamente conservate grazie alle favorevoli condizioni di umidità? Peccato che di tutto ciò non sia rimasto nulla, non conoscendosi all’epoca adeguati metodi di conservazione.
E arriviamo ai nostri tempi. Recenti esplorazioni condotte nel complesso sistema fognario dell’anfiteatro (anche con l’ausilio di sub!) hanno strappato al limo reperti preziosi per ricostruire la vita e l’uso dell’edificio: dalle ossa delle fiere ai semi, noccioli, residui di pasti e di stoffa, frammenti di legno lavorato. Ancora oggi nei sotterranei del Colosseo sgorga acqua pura di falda, utilizzata tra l’altro per i lavori di restauro in corso. Restauri in grande stile, dopo quelli promossi nell’Ottocento dai papi Pio VII, Leone XIII, Gregorio XVI e Pio IX, e gli altri susseguitisi fin quasi ai nostri giorni sempre più nel rispetto delle strutture antiche, e tali – si spera – da preservare per le età future questo monumento unico al mondo sopravvissuto agli incendi, ai terremoti, ai saccheggi.