Il coinquilino del piano di sotto
Dalla voce di Enza ed Emanuele Roggio, la storia di come hanno affrontato il rapporto con un vicino
Enza – Abitiamo da 2 anni al secondo piano di un condominio. Fin dall’inizio abbiamo capito che l’inquilino che abita sotto di noi era un tipo abbastanza curioso, ma abbiamo saputo dopo che quelli che abitavano nella nostra casa l’avevano venduta per i problemi che lui creava. Ha iniziato quasi subito a dirmi che facevamo troppo rumore, che non dovevamo camminare scalzi o spostare le sedie, che la lavatrice faceva troppo rumore, che dovevamo mettere dei tappeti in tutta la casa e che se la cosa continuava sarebbe andato dall’avvocato. Cominciammo a dirgli che ci dispiaceva e che avremmo cercato di fare meno rumore, ma ogni volta che ci vedeva era sempre la stessa storia, tanto che incominciò a farci perdere la tranquillità e facevamo di tutto per non incontrarlo.
Cominciai a pregare per lui, e soprattutto chiesi a Gesù cosa potevo fare. Capii che dovevo fare io il primo passo, e allora ogni volta che lo incontravo – anche se lui abbassava gli occhi per non salutarmi – lo salutavo con un «buongiorno» talmente forte e dolce allo stesso tempo che lui non poteva fare a meno di rispondere. Gli tenevo il cancello aperto quando entrava con la bici, oppure gli facevo un bel sorriso, gli domandavo come stava e mi fermavo a parlare un po’ con lui. Una mattina dovevo andare alla messa, e lo incontrai per le scale. Stavolta non si mise a parlare subito dei rumori che sentiva, ma cominciò a raccontarmi della sua vita. Io stavo ad ascoltarlo con interesse, pronta a perdere anche la messa. Lui tutto a un tratto mi chiese: «Ma lei di che religione è?».
Emanuele – Qualche giorno prima di Natale, tornando a casa con mia mamma e i miei fratelli, lo incontrammo per le scale. Tutti lo salutarono con un buongiorno molto sentito, tranne me. Arrivati a casa, mia mamma mi disse: «Ti sembra di dare una bella testimonianza dell’amore cristiano?» Io avevo iniziato da poco il mio cammino, ma capii benissimo che non avevo fatto una bella cosa. Mancando poco a Natale, pensammo che per me poteva essere l’occasione giusta per andare a casa di Giorgio – il vicino – a fargli gli auguri. La vigilia di Natale, dopo aver messo in un piatto gli arancini e la pizza che mia zia e mia mamma avevano preparato scegliendo le migliori e ricordando le parole di Gesù "lo avete fatto a me", sono sceso. Quando ho bussato tremavo, non sapendo che reazione avrebbe avuto: invece con mio stupore mi accolse come se già mi aspettasse, mi fece entrare e mi disse che dovevamo diventare amici, che non ce l’aveva con noi e che siamo delle brave persone.
Anche se Giorgio continua a battere dal suo tetto quando sente rumore, ogni volta che viene a suonare il campanello di casa per brontolare lo invitiamo a mettersi a tavola con noi: e lui ride e scherza insieme, perché quando l’altro si sente amato non può non ricambiare.