Il Codice? Una fortuna, forse.

Il film (vedi box) ha stancato pubblico e critica. Da noi, stando ai quotidiani, distribuito in ben 910 copie con un tam-tam mediatico ossessivo, nel primo week-end è arrivato a quasi 9 milioni di euro. Un bell’incasso (se dura). Che rivela il lato squisitamente commerciale di un’operazione finanziata dalla Sony senza troppi scrupoli, riciclando il vecchio – almeno di tre secoli! – repertorio anticattolico, che ricorda molto l’Ecrasez l’infame di Voltaire. Riaggiustata in versione New Age. Ma con delle code mediatiche che fanno pensare. Sorrisi e canzoni, infatti, che ha ben pubblicizzato il film, ora dedica, al numero 22, quattro pagine a smascherare il bugiardo Dan Browe. Pentimento tardivo? Abile astuzia per tener desta l’attenzione? Voglia sincera di far chiarezza? Chissà. Comunque, raggiungo Giuseppe Corigliano, portavoce dell’Opus Dei, nella sua sede a due passi da Palazzo Farnese. Corigliano è una di quelle persone fini e cordiali che ogni tanto si ha la fortuna di incontrare. Il Codice. Tanto rumore per nulla, o per qualcosa di buono? Direi che il libro e il film hanno aiutato a mettere a fuoco alcuni temi di catechismo e di apologetica, perché questa ondata anticattolica ora non rimane più a livello scientifico, come è stato da due secoli a questa parte. La Chiesa ha risposto all’attacco attrezzandosi scientificamente con studi biblici ormai raffinati. Resta però scoperta la formazione dei credenti laici, il settore in cui sono nate realtà molto nuove. Sotto questo aspetto, il lavoro di Dan Brown fa comprendere come i laici abbiano bisogno di una preparazione catechistica e apologetica adeguata. Certo, oggi abbiamo scrittori come Vittorio Messori nel suo Ipotesi su Gesù o Andrea Tornielli che, insieme ad altri, hanno fatto chiarezza nei loro lavori su tante fandonie raccontate da Brown, ed è bene che i cattolici le conoscano (1). Perché ancora a livello popolare esiste un forte attacco alla Chiesa, che viene presentata come un fenomeno di oscurantismo. Sembra essere proprio questa la tesi del film, condita con eccessi di vario genere. È bene non fare dietrologie, ma nemmeno essere ingenui. L’ipotesi che questa operazione sia stata fatta su commissione non è da scartare… Il comportamento della Sony nei confronti dell’Opus è stato sconcertante. Con delicatezza e con quello stile cristiano che il fondatore Escrivà ci ha raccomandato di tenere, ci siamo messi in un rapporto di dialogo. Per prima cosa, si è chiesto all’amministratore delegato della Sony Pictures un appuntamento, ma ci è stato, cortesemente, negato. Abbiamo comunque richiesto di stemperare la componente anticattolica e anti-Opus del film, ma non abbiamo avuto risposta. Infine, abbiamo domandato che almeno a inizio film comparisse la consueta scritta sulla mancanza di riferimenti a fatti reali presenti nel lavoro: nessuna risposta. Eppure, il codice etico interno della Sony prescrive la massima delicatezza per le convinzioni religiose di ciascuno… Ma allora, o questo codice interno non vale per l’esterno, oppure esso stesso è un’opera di fantasia (sorride, ndr)! Ma io credo che comunque la provvidenza faccia sì che sempre difficoltà del genere servano ad arricchire i cristiani, per cui il film rappresenta uno stimolo per la preparazione culturale del laicato cattolico, senza sottovalutare le opere di fantasia. Mi spiego: la Divina Commedia e I promessi sposi sono lavori di fantasia, ma hanno formato generazioni. Perciò un’operazione come quella della Lux di Bernabei con le sue fiction bibliche, che ha inaugurato un nuovo genere televisivo con produzioni internazionali, fa capire che qui è il vero terreno di battaglia, perché è la fiction che incide sul modo di pensare e sullo stile di vita delle gente. Una sfida per i cattolici, questa della comunicazione. Appunto. E io la vedo importante come a suo tempo la questione sociale. Ci vuole una Rerum novarum della comunicazione, una mobilitazione, non bastano persone eroiche come un Bernabei. La comunicazione è un fattore complesso, richiede investimenti di capitali, formazione di sceneggiatori, registi, eccetera. Perciò credo che in qualche modo il film di Howard sia stato una felix culpa. Anche se l’Opus viene accusata di essere una sorta di braccio sanguinario della menzogna della Chiesa. Perché questo attacco, secondo lei? Credo ci abbiano scelto per la nostra fedeltà al papa e poi per la nostra novità che fa pensare a del mistero, mentre, che so, dei francescani si pensa di sapere tutto. Ma il film si è rivelato una grande opportunità per noi, quasi – scherzo – una mano santa, non perché noi abbiamo cambiato politica di informazione, ma perché finalmente i media hanno desiderato approfondire la nostra conoscenza, uscendo dai loro consueti cliché politico-economici. D’altra parte, l’Opus ha un compito di formazione personale e spirituale dei suoi membri, non entra mai nel campo politico o economico, non abbiamo queste realtà collaterali. Nel film vi si accoppia volentieri ai Templari… È un fatto puramente mitico. Siccome i Templari sono scomparsi, allora l’Opus, non essendo ben compresa, gli viene collegata. Ma non c’è alcun riferimento. Noi ci riferiamo ai primi cristiani che erano gente normale. La nostra chiave è la normalità. Perciò non ci fustighiamo, come il monaco Silas nel film: sia perché da noi non ci sono monaci, sia perché le mortificazioni che facciamo – chi vuole – sono moderate, perché quello che conta è l’amore. Credo tuttavia che questo sia un momento favorevole: c’è un tale bisogno di autenticità e di vero rapporto con Dio che le accuse cadono da sole, mentre basta dire qualcosa di cristiano e subito si trova una risonanza. Se Moretti diceva a D’Alema Di’ qualcosa di sinistra, oggi la gente ci chiede: Di’ qualcosa di cristiano!. Quindi, indirettamente, il film vi ha fatto una grande pubblicità. Ci sono arrivati migliaia di email – l’anno scorso 3 milioni di cui un milione nei soli Usa – per cui abbiamo dovuto potenziare il sito e proiettare dei documentari: siamo ancora al lavoro in questo senso con l’Istituto Luce… Ma la cosa più interessante, da tutta la vicenda, credo sia questa. Mai come adesso è evidente come l’Occidente non abbia più maestri. L’unico che gli resta – e lo si vede anche da questi fenomeni – in fondo è Cristo. UN FILM A TESI Due ore e mezzo di noia. Dialoghi letterari, azione rallentata e prevedibile, recitazione ingessata di attori come Tom Hanks ed Audrey Tautou, che si vede l’hanno fatto solo per i soldi (bell’esempio di prostituzione artistica). Si salva a stento il povero poliziotto Jean Reno. Dopo i primi minuti che almeno consentono di ammirare il Louvre di notte, il fantatrhiller a sfondo religioso si rivela un pasticcio inconsistente che del romanzo di Brown tenta una (impossibile) sintesi, mirando più che all’azione – ripetitiva – agli strali fulminanti, sottilmente velenosi contro il cattolicesimo. Come a dire agli spettatori ignoranti (grazie!): finora non avete capito nulla, adesso vi sveliamo la verità. Ma la sua tesi, il regista Ron Howard la pone a bella posta nelle lunghe pause dialogiche: la Chiesa è falsa fin dall’origine ed è colpevole di tanti crimini in Occidente, Cristo era un semplice uomo, un saggio: e su questo esistono inoppugnabili documenti storici… Peccato che essi siano stati già demoliti da decenni da chi studia la storia sul serio… Un povero film, costato 125 milioni di dollari. Peccato: almeno li avessero fatti recitare bene, quei poveri attori! Non saremmo usciti dalla sala col mal di testa. Regia di Ron Howard; con Tom Hanks, Audrey Tautou.

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